Maurizio Peroni
LA VOCE DELLA TIPICITA' DEI VINI DELLA TRADIZIONE PICENA E FAMILIARE !
THE VOICE AND THE UNIQUE CHARACTER OF THE FAMILY AND PICENO TRADITION !
THE VOICE AND THE UNIQUE CHARACTER OF THE FAMILY AND PICENO TRADITION !
giovedì 2 agosto 2012
L'ILLUSIONE DEL PAGAMENTO A 60 GIORNI
Non si parla d'altro; il settore agroalimentare ha tirato un lungo respiro di sollievo nell'apprendere del decreto interministeriale che impone che i contratti di compravendita debbono obbligatoriamente stabilire quantità, modalità di consegna
ma anche tempi certi per i pagamenti, eliminando così molte storture che erano diventate regole. Il provvedimento,inoltre, individua in modo dettagliato una serie di pratiche sleali messe in atto da chi abusa della propria maggior forza commerciale e in questo caso uno dei settori che ne trarrà maggiori benefici sarà quello vinicolo. Per dovere di cronaca,dobbiamo però anche dire che per le bevande alcoliche, le regole non solo già esistevano ma erano e sono molto chiare. La legge 18 febbraio del
1999, all'art. 22, dispone che "per le cessioni di prodotti alcolici (...) i corrispettivi devono essere versati entro 60 giorni dal momento della consegna o ritiro". Ma allora perchè i produttori si lamentano che la stragrande maggioranza
degli esercizi, in primis la ristorazione, paga, se va bebe, a 180 giorni? Tutti mugugnano, ma nessuno prende posizione. Anzi il gioco è sempre al ribasso. Questa e la campana che ci ricorda quanto il mondo del vino sia disunito e preferisca continuare
a giocare la vecchia partita del rubamazzo.
GLOBAL WARMING
A dettare i ritmi dell’accelerazione qualitativa dei vini italiani è stata, a cavallo degli anni Ottanta, una recuperata sensibilità nei confronti della viticoltura, non più come strumento per ottenere il massimo in termini quantitativi, ma, come una propria tecnica per produrre tipicità. Un lavoro costituito per lo più su un modello qualitativo fatto di sesti d’impianto stretti, numero di piante ad ettaro molto alto e rese di uva a pianta molto basse.Tutto questo però,sembra non rispondere alle sollecitazioni climatiche di oggi, soprattutto per il “global warming”, che sta colpendo tutta la Penisola. Le previsioni a medio-lungo termine, infatti, indicano una costante presenza di alta pressione sull’Italia, le cui temperature troveranno dei picchi, e poi un riassesto su valori normali per la stagione,ma la pioggia sarà quasi assente. Ecco che allora sesti d’impianto meno estremi, sistemi di allevamento
tradizionali, rese d’uva un po’ aumentate e/o varietà tradizionali tardive possono contribuire a fronteggiare, nel lungo periodo, il disequilibrio che caratterizza i vini di questo 21esimo secolo (grado alcolico elevato, acidità basse, indebolimento aromatico). In questo senso, la tradizione viticola italiana (consapevole di dover impiantare vigneti in zone tendenzialmente mediterranee e non dal clima continentale) può rappresentare un buon indirizzo, ma, d’altra parte, il ricorso ad antiche pratiche agronomiche non necessariamente collima con la tendenziale rincorsa alla riduzione delle ore lavorative in vigneto, specie in tempi di crisi come questi. L’ottimizzazione dei tempi, dei costi e dell’orientamento al mercato impongono scelte spesso incapaci di reagire alla discontinuità della natura, finendo con l’influenzare in negativo la qualità finale della bottiglia. A meno che, il “global warming” sia un falso problema,superabile semplicemente con tanta irrigazione. Ma l’acqua, la risorsa più importante del pianeta, non è infinita. Occorre, quindi, considerare seriamente un nuovo, seppur costoso, cambio di rotta.
domenica 29 luglio 2012
IL PANORAMA VITIVINICOLO CINESE
I vini cinesi sono all’altezza dei migliori vini del mondo? Non è una domanda retorica, perchè tra il 50° e 32° parallelo si trovano le principali aree vitivinicole del mondo: Bordeaux, Borgogna, Napa Valley, Langhe, Franciacorta,Chianti...e, spostandoci ad est, la Cina. Se le coordinate geografiche non bastassero, si può sempre ricorrere ai numeri: 30 milioni di ettolitri di vino prodotti annualmente (poco meno della metà della produzione complessiva italiana) 1.500 grandi cantine (erano appena 400 negli anni '90)e la più alta percentuale di vigneti impiantati negli
ultimi anni. A completare il quadro ci sono gli enormi investimenti in macchinari, tecnologia, e soprattutto know-how enologico. Ed è su questo ultimo punto che bisogna riflettere. La tattica della Cina, è quella di “imparare l'arte e metterla da
parte”, grazie ad una strana alleanza con i francesi che ha cambiato perfino il paesaggio cinese. Nel giro di pochi anni vigne e (finti) Chateaux si son fatti largo tra shikumen, villaggi rurali, stradine sterrate e terrazze di riso. Il segreto di questo cambiamento si capisce subito: dietro ad ogni azienda cinese del vino, pubblica o privata, c'è sempre un grande viticoltore francese. Come l'enologo Gérard Colin, che da St. Emilion, nel cuore di Bordeaux, è arrivato a Penglai, nel cuore dello Shandong,
la più antica e ampia provincia vitivincola cinese con un clima simile a quello bordolese, per dedicarsi al progetto di realizzare uno Château Lafite-Rotschild grazie ad una joint venture Baroni de Rotschild-Citc, la società di investimento, controllata dal governo di Pechino. «Abbiamo rimosso 40mila tonnellate di pietre e ottenuto 30 ettari di terreno e 9 mila chilometri di muretti in pietra – spiega Colin - dodici ettari sono già stati piantati a Cabernet Sauvignon, ma ci sono anche filari di Syrah, Cabernet Franc, Merlot e Marselen”: insomma, tutti i vitigni base dei più famosi blend
francesi per un investimento iniziale di 100 milioni di yuan (circa 15 milioni
di dollari). La prima vendemmia nel 2014. Ma Monsieur Colin non è l'unico
enologo emigrato nello Shandong per diffondere l'arte del vino. Il suo connazionale
Michel Rolland, uno degli enologi più famosi al mondo, è stato assoldato come consulente da Cofco (il colosso pubblico dell'agroalimentare: dai cereali alle caramelle) impegnandolo a Chateau Junding, conosciuto anche come la Nava Valley cinese. Spostandoci nelle varie regioni vitivincole del Paese, la situazione non cambia poi molto: sventola bandiera francese anche nella provincia di Yunnan, in particolare a Dequin (molto più vicina a Vietnam e Thailandia che a Shangai)dove Moet Hennessy ha creato la joint venture Shangri-la Winery, e anche nella quotatissima regione autonoma Ningxia, alle pendici delle Helan Mountains, dove la multinazionale
francese Pernod Ricard è entrata in affari con alcuni imprenditori locali per
fondare Domaine Helan Mountain . Una precisazione: quando si parla di Chateaux o Domaines non si indicano semplici cantine, ma veri Disneyland del vino dove gli ospiti, oltre a bere il vino della maison, possono soggiornare, giocare a golf e visitare i vigneti. Il messaggio è chiaro: la Cina non vuole soltanto fare vino, ma vuole farne uno status symbol che evochi benessere e arte da vivere. I francesi lo hanno capito benissimo e si stanno muovendo anche su questo terreno. Non è un caso se sono in aumento i centri commerciali che ospitano al loro interno boutique, brasserie,
café e bar à vin. Ma i cugini francesi debbono fare attenzione: quando non avranno più
bisogno del loro “savoir faire” i cinesi li scaricheranno. Ci sono centinaia di
neo-miliardari pronti a prenderne il posto. Come giudicare, per esempio, l'arrivo del primo vino Chardonnay cinese al Salon du vin di Parigi, organizzato dalla Revue du Vin de France (che ha aperto una redazione a Shangai)? L'allievo che supera il maestro o una sfida portata direttamente in casa dei grandi dell'enologia mondiale?
mercoledì 18 luglio 2012
NOVITA' DAL MERCATO USA
Niente drammi, dopo che nel 2011 il vino italiano in Usa è stato da record,l'inizio del 2012 ha registrato il calo delle importazioni: -5,6% in volume (799.990 ettolitri) e -3,8% in valore (391 milioni di dollari). A dirlo, i dati dell’Italian Wine & Food
Institute che sottolineano, comunque, come l’Italia resti il Paese leader per quota di mercato tra i vini stranieri tanto in quantità (23,5%) quanto in valore (32,6%), soprattutto con il vino imbottigliato, a differenza dell’Australia, alla posizione n. 2, che vede la metà del suo prodotto arrivare sfuso negli States. L’Italia è l’unico dei Paesi leader del settore, con Australia,Argentina, Cile e Francia, che si dividono più dell’80% del mercato di vini importati in Usa, a far segnare un trend negativo nel 2012. In controtendenza invece sono gli spumanti italiani, che fanno segnare un +9,4% in quantità e un +7,9% in valore.
CANTINA IN FONDO ALL'OCEANO
Di casi in cui il vino viene fatto invecchiare in fondo al mare ce ne sono già, anche in Italia, e ne abbiamo già parlato in altri post. Però non si era mai osato così tanto: un vigneron di Bordeaux, per Decanter.com, lancerà, a giugno 2013, “Vino Mille Leghe Sotto il Mare”, ispirato a Jules Verne,che, grazie a box di acciaio, dovrebbe consentire alle bottiglie di conservarsi, per 10 anni, a 1.000 metri di profondità e a 150 chilometri dalla costa dell’Atlantico. Costo del servizio fantascientifico come il nome: 17 euro a bottiglia all’anno. Ma non siamo in tempo di crisi?
lunedì 16 luglio 2012
I VITIGNI AUTOCTONI ITALIANI IN CINA
I vitigni autoctoni italiani protagonisti in Cina: l’Università di Milano e l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, dal 19 al 22 luglio, porteranno nella storica Università di Pechino e nell’importante Wine College di Penglai, i vitigni tipici di Trentino, Sicilia, Toscana, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. “I cinesi non ci conoscono - spiega il professor Attilio Scienza, che guiderà i seminari - dobbiamo
spiegargli che l’Italia è un Paese vinicolo, con tante regioni, tante culture e tanti vitigni”. E per farlo ci saranno seminari divulgativi, e degustazioni con importatori e ristoratori interessati ai vini italiani. COME SEMPRE LE MARCHE PRENDERANNO FORSE IL PROSSIMO AEREO !!
I TOP 100 RISTORANTI D'EUROPA
Estate, è tempo di classifiche. Da prendere più che mai con le molle,ma che evidenziano, nel bene o nel male, tendenze che i consumatori seguono, e che chef ed imprenditori della ristorazione non possono non tenere in considerazione. E così, arriva la “Top 100” dei ristoranti d’Europa di “Opinionated About Dining”, il celebre blog enogastronomico di Steve Plotnicki, frutto dell’incrocio di 70.000 recensioni di più di 3.000 utenti. Il miglior ristorante del continente è il Quique Dacosta a Dénia (Spagna). Seguito dai celeberrimi Fat Duck (Gran Bretagna) e Noma di Copenaghen (Danimarca). E in una classifica dominata, per numero,dalla Francia, con 37 ristoranti su 100, davanti a Spagna e Italia a pari merito con 15, il primo alfiere del Belpaese è il Combal.Zero di Davide Scabin a Rivoli (Torino) alla posizione n. 13, seguito da Le Calandre a Sarmeola di Rubano (Padova) al n. 15, e da Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio (Mantova)al n. 20. Poi Da Vittorio di Brusaporto (Bergamo) al n. 46, La Pergola del Rome Cavalieri al n. 47, Al
Sorriso di Soriso (Novara) al n. 49. Al n. 54 Il Luogo di Aimo e Nadia a Milano, seguito dall’Osteria La Francescana di Modena al n. 58, dall’Enoteca Pinchiorri a Firenze al n. 61, da Il Canto di Siena al n. 65, da Cracco a Milano al n. 68, e da Arnolfo di Colle Val d’Elsa (Siena) al n. 80. Chiudono la pattuglia degli italiani La Rosetta di Roma al n. 81, La Madonnina del Pescatore di Senigallia (Ancona) al n. 92, e
Perbellini a Isola Rizza (Verona) al n. 98. “Opinionated About Dining è un sondaggio basato sulle opinioni degli utenti” commenta Plotnicki. “La classifica contiene alcuni dati interessanti: quasi il 50% dei ristoranti serve cucina moderna e d’avanguardia, il che mostra un cambiamento nelle preferenze e nella composizione demografica dei recensori”. Plotnicki continua, descrivendo i partecipanti al sondaggio come “appassionati sempre più giovani e più avventurosi, in grado di apprezzare il valore della cucina classica ma alla ricerca di esperienze nuove e capaci di far riflettere”.
Iscriviti a:
Post (Atom)