Maurizio Peroni

LA VOCE DELLA TIPICITA' DEI VINI DELLA TRADIZIONE PICENA E FAMILIARE !
THE VOICE AND THE UNIQUE CHARACTER OF THE FAMILY AND PICENO TRADITION !

venerdì 25 giugno 2010

ALLA SCOPERTA DEL DNA DELLA VITE

Oggi nella cantina toscana Podere Forte si è svolto il convegno internazionale “Origini della viticoltura. Dalla vite selvatica alle varietà di vite coltivate”. Scopo quello di valorizzare lo studio della vite selvatica e capirne la "domesticazione”, un storia che nasce più di 6.000 anni prima di Cristo, per capire meglio le origini, i percorsi e, forse, il futuro delle varietà coltivate, da cui nascono i vini di oggi. Il professor Attilio Scienza dell’Università di Milano: “Con gli strumenti moderni possiamo colmare vuoti di conoscenza. Soprattutto con il Dna: confrontando quello della vite selvatica e delle viti coltivate, possiamo risalire davvero all’origine storica di tanti vitigni che oggi consideriamo autoctoni, e che magari, invece, vengono da molto lontano”. La vite selvatica, diffusa in tutte le coste del Mediterraneo e nelle aree caucasiche, è stata piano piano addomesticata e poi sostituita dalle popolazioni che da nomadi sono diventate stanziali. Quest’ultime all’inizio “curavano” i luoghi dove si trovava la vite selvatica spontanea da cui ottenevano vino e cibo, per poi iniziare a coltivarla, e a selezionare le varietà che poi si sono diffuse quando il vino è diventato un prodotto commerciale; soprattutto grazie ai Romani. Un percorso complesso, quello che porta alle origini, a cui si dedicano studiosi di ogni parte d’Europa, e che al di là delle applicazioni scientifiche è importante perché oggi più che mai serve a fare cultura sul vino, perché il consumatore moderno non si accontenta più di berlo e basta, ma vuole emozionarsi e fantasticare.

martedì 22 giugno 2010

USA: I VITIGNI INTERNAZIONALI HANNO MAGGIORE APPEAL SUGLI AUTOCTONI ITALIANI

La grande varietà di vitigni autoctoni è considerata da sempre una delle grandi risorse del mercato vitivinicolo italiano. Ma i mercati internazionali cosa desiderano? Quello americano, fondamentale per l’export delle cantine italiane, non sembra molto attratto dagli autoctoni italiani. Secondo l’Italian Wine & Food Istitute, il vino più richiesto in Usa (dati di marzo 2010) è stato lo Chardonnay, che ha fruttato 1,9 miliardi di dollari, seguito dal Cabernet Sauvignon (1,9 miliardi), e dal Merlot (927 milioni di dollari). Primo degli “ autoctoni italiani” figura il Chianti (se tale si può considerare visto che è un uvaggio a base Sangiovese), con 127 milioni di dollari seguito dal Sangiovese, con 18 milioni. Ci sarà un futuro più roseo in questo mercato per i nostri autoctoni?

sabato 19 giugno 2010

UN PO' DI STORIA SUL VITIGNO PECORINO




L’Italia è il paese con il maggior patrimonio di varietà di uva al mondo. Non tutte le varietà sono state selezionate in Italia,ma qui introdotte nei secoli in vari modi: viaggi e migrazioni da altre parti del mondo se è vero che furono proprio i Greci a portare la coltivazione della vite nella nostra penisola. La viticoltura in Italia appare infatti verso il 730-720 a.C. nelle colonie della Magna Grecia. Le varietà possono essere alloctone o internazionali, tradizionali e autoctone. Il PECORINO è una varietà autoctona, cioè con probabile origine italiana o qui esistente da tanto tempo che non è più possibile risalire alla sua esatta provenienza.Da documenti storici sappiamo che il PECORINO era conosciuto in molte aree viticole del centro Italia: oltre alle Marche, la nostra regione di produzione,anche nelle regioni confinanti. Negli anni gli sono stati attribuiti vari nomi tra i quali quelli di Pecorino di Arquata, Pecorina Arquatella, Arquitano, che si rifanno alla sua zona di origine, Arquata del Tronto in provincia di Ascoli Piceno. Altri nomi invece si rifanno alla pratica della pastorizia, attività prevalente nelle sue zone d’origine; pertanto ha assunto anche i nomi di: Uva Pecorina, Uva delle Pecore. Infatti tutta la vallata di Arquata del Tronto lo coltivava, franco di piede, e ancora oggi esistono vari esemplari centenari (vedi foto).Col tempo questo vitigno è stato progressivamente abbandonato per la sua limitata produttività e sostituito con altre varietà più redditizie come Trebbiano e Passerina. La grande resa, infatti, era preferita alla qualità in quanto l’uva veniva conferita alle grandi cantine sociali che la trasformavano poi in vino. Il Pecorino è rimasto presente nelle “Filonate” (filoni di vigna intervallati da piante da frutto o di ulivo) fino agli anni ’70 e il PECORINO era il vino destinato esclusivamente al consumo familiare, in quanto considerato vino di qualità. In dialetto veniva chiamato “Promotico”, cioè "precoce" in quanto già nei primi giorni di settembre può essere raccolto a differenza degli altri uvaggi a bacca bianca più lenti nella maturazione. Dal 1990 i Poderi Capecci San Savino sono stati i primi a sperimentare e a riportare alla ribalta questo vitigno con piante pre-filossera, franco di piede, riprese dalla sua zona di origine (Arquata del Tronto)con il sostegno della Regione Marche. Dal 2001 questo vitigno ha ricevuto l'appellativo D.O.C. (ora D.O.P.)nell'Offida Pecorino.

venerdì 18 giugno 2010

FINALMENTE CIPREA 2009





Sarà disponibile dalla prossima settimana la nuova annata 2009 del CIPREA Offida pecorino Dop.Piccole e trascurabili sono le differenze con la vendemmia precedente. Colore brillante, al naso sono nette le note di salvia e menta che caratterizzano questo vitigno. Al palato si apprezza la sua freschezza, pienezza e la lunga persistenza.

I MERCATI "TOP" PER L'ITALIA:GERMANIA, REGNO UNITO, STATI UNITI

L’export del vino made in Italy nel 2009 cresce in volume, ma scende in valore: ecco il bilancio 2009 dell’export dell’Italia del vino dai dati forniti dall’Osservatorio Federvini. L’esportazione di vini e mosti made in Italy è stata di 19 milioni di ettolitri nel 2009 sui 17 milioni del 2008, con un incremento del 9,7%; in termini di valore, il 2009 ha toccato i 3,5 miliardi di euro sui 3,6 del 2008, con un decremento del 3,7%. Gli ettolitri di vino Vqprd esportati nel 2009 sono stati 4.197.745 contro i 4.359.313 del 2008 (-3,7%), per un valore di 1,38 miliardi di euro,sull’1,49 miliardi del 2008 (-7,8%). Gli ettolitri di vino da tavola esportati nel 2009 sono 11.631.688 sui 10.045.620 del 2008, con un incremento del 15,8% e un valore cresciuto dell’1,2% sul 2008 (1,36 miliardi di euro contro 1,35 nel 2008). Sul fronte delle destinazioni, nel 2009, i principali Paesi di destinazione di vini e mosti italiani sono per quantità la Germania (6,5 milioni di ettolitri), il Regno Unito (2,7), gli Stati Uniti (2,4), la Francia (1,28), la Svizzera (0,70), la Russia (0,66), il Canada (0,61), la Repubblica Ceca (0,55), i Paesi Bassi (0,41), l’Austria (0,36), la Svezia (0,35), il Giappone (0,32), il Belgio e la Danimarca (0,30), la Spagna (0,22). In termini di valore primeggia ancora la Germania (798 milioni di euro), seguita da Stati Uniti (742), Regno Unito (453), Svizzera (231), Canada (191), Danimarca(100), Giappone (98), Francia (90), Paesi Bassi (89), Svezia (83), Austria (71), Russia (66), Belgio (65),Spagna e Norvegia (36). Ancora poco significative le esportazioni in Cina anche se da molti vieneindicata come una specie di nuovo “eldorado”.

lunedì 14 giugno 2010

CORSO DI DEGUSTAZIONE-lezione 7


Gli odori nel vino sono molto importanti, così come è importante crearsi una memoria olfattiva, per non confondere profumi con difetti

domenica 13 giugno 2010

SARA' VERO CHE IL VINO ROSSO PER LE DONNE E' IL NETTARE DELL'EROS?


In estate si preferisce berlo bianco, ma se si prospetta una stagione all'insegna della passione, meglio optare per quello rosso, perché gli effetti sull'aumento del desiderio sessuale nelle donne del vino color rubino è ora scientificamente provato.
Coordinata da Nicola Mondaini, la ricerca è stata realizzata all'Università di Firenze e afferma «Uno o più bicchieri al giorno di vino rosso sono associati a una maggiore salute e a un maggiore piacere sessuale»
Una conclusione alla quale il gruppo di ricercatori italiano è giunto studiando 798 donne di età compresa tra 18 e 50 anni che vivono nella zona del Chianti. Suddivise in tre gruppi, in base al loro consumo abituale di vino rosso - un primo gruppo comprensivo di donne abituate a berne uno o due bicchieri al giorno, il secondo composto da donne astemie e il terzo da bevitrici occasionali - alle signore toscane è stato sottoposto il questionario sull'indice di funzionalità sessuale femminile, un test basato su 19 iter e ricavato da un adattamento in italiano del Female Sexual Function Index (Fsfi). Così, se non si sono registrate significative differenze nel campione dal punto di vista dell'orgasmo, della soddisfazione, del dolore e dell'eccitazione sessuale, le donne del primo gruppo, anche se, in media, erano un po' più anziane delle altre, hanno riportato punteggi più alti non solo per il desiderio sessuale, ma anche per la lubrificazione vaginale, facendo affermare, in generale, «che il vino ha un impatto sulle funzioni sessuali femminili, migliorandone la risposta e il piacere».
Il motivo non è chiarissimo, anche se i ricercatori sospettano che sia da attribuire ai composti chimici presenti nel vino rosso che aumenterebbero l'afflusso di sangue in aree chiave dell'organismo.
Nonostante la ricerca abbia evidenziato la relazione tra il consumo di vino e il miglioramento dell'attività sessuale, com'è d'obbligo, quasi, in questi casi, sono gli stessi ricercatori che invitano alla cautela essendo il numero delle donne coinvolte troppo esiguo e non essendoci esami di laboratorio a confermare il risultato.

sabato 12 giugno 2010

QUALI VINI BERRANNO I TIFOSI IN SUDAFRICA?


Della nazionale di calcio conoscete i più intimi segreti ma dei vini del Sud Africa quanto ne sapete? Il Sudafrica è un paese molto più fresco di come possiamo immaginare, con vigneti quasi più vicini all’Equatore di alcuni nostri rinomati vigneti siciliani. Dalla caduta dell’apartheid in poi, il vino è diventato uno dei principali motori dell’economia e dell’occupazione, con una qualità in crescita costante e una vocazione all’export (oltre il 50% della produzione) che ne ha permesso la conquista di molti mercati, Regno Unito e Germania in primis.Nel XVIII secolo, ai tempi di Luigi Filippo e Napoleone, infatti il vino dolce passito Vin de Costance di Città del Capo era considerato un nettare quasi divino, degno appunto della corte dei grandi sovrani europei. Ma i primi vigneti, piantati nel 1655 dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali avevano semplicemente lo scopo di fornire sostentamento ai mercanti di passaggio e i risultati all’inizio furono sconfortanti, anche perché i mercanti olandesi mancavano del know-how in materia di viticoltura e vinificazione. Unica gemma appunto il vino dolce prodotto nella tenuta di Costantia da Simon Van der Stel, il primo governatore della colonia che sarebbe poi diventata Città del Capo.
Solo con l’arrivo degli Ugonotti, in fuga dalla Francia nel 1680, si potè assistere alla nascita di una vera industria del vino che prosperò fino a giungere al massimo splendore commerciale ai tempi delle guerre tra l’Inghilterra e la Francia di Napoleone. Nel 1806 infatti gli Inglesi in guerra occuparono Città del Capo e cominciarono a importare vino sudafricano al posto di vino francese. Ma dal 1859 in poi la viticoltura cadde in disgrazia con la riapertura del commercio con Bordeaux e la Francia e anche l’arrivo di cercatori di diamanti e oro della fine del secolo non compensò i mancati introiti del commercio con l’estero.
Seguirono le Guerre Boere e fu solo nel 1918, con la nascita della cooperativa Ko-operatieve Wijnbouwers Vereniging che si posero le basi della odierna viticoltura sudafricana con i primi protocolli di qualità delle uve e la destinazione di gran parte della produzione non di qualità alla distillazione in brandy. È altrettanto importante la creazione nel 1925 dell’ibrido Pinotage (ottenuto incrociando Pinot Nero e la varietà francese meridionale Cinsault), destinato a diventare la bandiera nazionale e ad oggi l’unica vera novità nel mercato mondiale del vino portato dal SudAfrica.
Oggi la produzione è quasi del tutto orientata sui vini bianchi, in primis lo Chenin Blanc che qui chiamano Steen, vitigno della Loria (dove le sue uve migliori sono però vinificate dolci) e un buona produzione di Sauvignon Blanc e Chardonnay .

Tra i rossi spiccano gli onnipresenti bordolesi Merlot, Cabernet Sauvignon e il Syrah del Rodano che dà forse vita ai vini più interessanti, specie in assemblaggio con altre varietà rosse. Il pinotage è intensamente coltivato ma produce vini semplici, beverini, molto immediati e fruttati, leggermente esotici, che però non raggiungono mai livelli di qualità assoluta, tranne che in versione rosata.
I tifosi appassionati di vino che decideranno di visitare qualche cantina in Sud Africa devono sapere che la quasi totalità dei vigneti e delle cantine sudafricane si trovano a non più di 200km di distanza da Città del Capo. Inoltre almeno tre parole in afrikaans conviene studiarle, ovvero Win Van Oorsprong che significa Vino da Denominazione di Origine, l’equivalente della nostra DOC.

giovedì 10 giugno 2010

PILLOLE DI STORIA

La storia si ripete. Un tempo, come oggi si promuoveva l'estirpazione. Infatti nei primi anni dell'impero romano la vite era ampiamente diffusa e coltivata in Italia, tanto che nel 90 d.C. Domiziano dovette imporre ai contadini della penisola, con un editto, di sradicare metà delle vigne e vietare nuovi impianti per far fronte ad una preoccupante crisi da sovrapproduzione. I primi vini romani erano comunque piuttosto grossolani: quelli più nobili venivano ancora importati dalla Grecia. Il vino che bevevano i romani era inoltre molto diverso da quello che oggi orna le nostre tavole. Andavano infatti matti per il vino lungamente invecchiato, come in genere in tutta l'antichità. Il Falerno non si poteva bere prima dei 10 anni e rimaneva ottimo fino a 30; i vini di Sorrento erano buoni soltanto dopo 25 anni. Per invecchiare i vini si usavano anfore, aiutandosi con fumo, calore e rudimentali sistemi di pastorizzazione. I vini che bevevano dovevano quindi essere densi, amari, eccessivamente alcolici e quasi sempre stravecchi: l'annacquamento, con acqua calda o fredda ma anche neve, era essenziale, mentre il vino puro (il merum) era riservato agli dei. A seconda delle qualità ad una parte di vino si potevano aggiungere anche tre parti di acqua. I Romani usavano moltissimo, inoltre, i "tagli" tra vini diversi: un dolce vino greco di Chio, ad esempio, per mitigare l'asprezza del Falerno. La bevanda comunque preferita rimaneva il mulsum, una miscela di miele e vino con cui si aprivano i sontuosi banchetti delle grandi famiglie patrizie.

mercoledì 9 giugno 2010

IL VINO IN GIAPPONE


In Giappone, la bevanda alcolica nazionale é il saké, più propriamente detto nihonshu (alcool giapponese) ottenuto dalla fermentazione del riso e non, come spesso si pensa, dalla sua distillazione. Il saké é una bevanda che ha molto in comune col vino nel senso che la qualità del prodotto finito deriva sia dalla qualità della materia prima (funzione della varietà di riso, del clima e del “terroir”) che dalle procedure di produzione. Un altra caratteristica comune alle due bevande é che sia il vino che il sake sono utilizzati nelle cerimonie religiose, cristiane e shintoiste rispettivamente, e sono quindi in una certa misura bevande “sacre”.
Fino ai tempi della restaurazione Meiji (1868) quando il Giappone si aprì al mondo esterno dopo secoli di isolamento, il vino era semplicemente sconosciuto nell'arcipelago nipponico.
A partire da quella data, gli stranieri che giungevano in Giappone cominciarono a portare con loro delle bevande alcoliche “esotiche”. Tra queste la birra é quella che sembra meglio corrispondere al gusto locale e rapidamente furono create le prime birrerie. Attualmente la birra è, di gran lunga, la bevanda alcolica più bevuta in Giappone con circa 50 litri pro capite/anno e quasi 70% del totale dei consumi. Il vino ebbe decisamente minor successo e si puo dire che fino all’indomani della seconda guerra mondiale il suo consumo fosse inesistente.
Il consumo di vino cominciò negli anni del grande sviluppo economico del Giappone, contemporaneamete alla diffusione delle cucina europea, soprattutto francese, negli anni settanta ma rappresentava allora una minuscola nicchia di mercato coperta esenzialmente dai grandi Bordeaux, dallo Champagne e dai bianchi tedeschi, essenzialmente dolci.
Negli anni ottanta, e soprattuto novanta il consumo di vino cominciò a diventare piu popolare in Giappone , ma non divenne mai qualcosa di quotidiano. Il vino rimane un prodotto di nicchia (3% delle bevande alcoliche), con una forte connotazione « esotica » e decisamene legato ad un immagine di cultura, di moda e di lusso europee.
Nel 1998, in seguito alla « scoperta » delle proprieità salutari dei polifenoli, in Giappone ci fu un vero e proprio boom del mercato dei vini rossi (il cui consumo raddoppiò in un anno), che si sgonfiò assai rapidamente lasciando uno strascico di stock invenduti e di prezzi in calo. Negli anni duemila il consumo é rimasto sostanzialmente costante in termini di quantità (circa due litri pro capite/anno), ma l’offerta si é diversificata con l’arrivo dei vini del nuovo mondo e spagnoli ed i prezzi si sono stabilizzati.
Una particolarità “sociologica” del mercato giapponese che merita di essere sottolineata é che i maggiori consumatori non sono affatto gli uomini maturi (che bevono birra e sake) ma piuttosto le giovani generazioni e le donne per i quali il consumo di vino costituisce un elemeno di stile di vita moderno, in contrapposizione alle bevande giapponesi ed alla birra che rappresentano la tradizione. Per questa ragione, ed anche perché i giapponesi mangiano fuori casa più che in ogni altro paese al mondo, il settore dei bar e ristoranti rappresenta uno sbocco cruciale per il vino (circa 40% delle vendite).
Ma come si inserisce il vino italiano in questo contesto ? A prima vista le cose sembrano abbastanza rosee, visto che il vino italiano é il secondo più consumato (18% di quota di mercato) in un mercato tradizionalmente dominato dai francesi (47%). Purtroppo, se si guardano un po più da vicino le cifre e le tendenze recenti, emergono diversi elementi preoccupanti.
Innanzitutto le cifre: negli ultimi quattro anni il consumo di vino italiano è diminutito anno dopo anno passando da 38 milioni di bottiglie nel 2001 a 30 milioni nel 2004, mentre la quota di mercato è scesa dal 22 al 17%. Inoltre, a un livello più soggettivo, si ha la netta impressione che la moda del vino italiano abbia aggiuno il suo apice e sia in fase discendente. Le ragioni princpali di questo declino sembrano essere due: 1) la stategia di distibuzione; 2) il rapporto qualità prezzo.
1) Riguardo alla distribuzione, come abbiamo visto i ristoranti e i bar vendono una percentuale elevata del vino consumato in Giappone, ma il vino italiano dipende in misura ancora maggiore da questo canale di distrbuzione con più del 50% del totale delle vendite in volume e probabilmente intorno al 70% in valore. Questa situazione si è venuta a creare perché, a partire dagli anni 90, è esplosa una vera e propria moda dei ristoranti italiani. Attualmente pare che, nella sola Tokyo ci siano duemila ritoranti italiani (più o meno veraci) il che naturalmente continua a tirare fortemente la domanda di vini di tutte le gamme, dal vino “della casa” delle pizzerie ai Baroli e Brunelli dei locali di lusso. Ma se la ristorazione è stata certamente un fattore trainante per la conoscenza e la diffussione del vino italiano, quando la moda dei ristoranti italiani comincerà ad attenuarsi, (e forse ha già iniziato) il consumo ne risentirà moltissimo, tantopiù che il vino italiano stenta a conquistare i locali di cucina giapponese e cinese dove il (poco) vino consumato è francese.
2) Sul rapporto qualità prezzo, non mi pare che la situazione giapponese sia diversa rispetto ad altri mercati. In poche parole, se fino a qualche anno fa era possibile comprare senza rovinarsi del vino italiano di qualità, con un carattere ed un identità ben definiti, ora i prezzi sembrano non avere più alcuna relazione con la legge della domanda e dell’offerta. La cosa più sorprendente è che in un mercato mondiale in crisi, i prezzi dei vini italiani (al dettaglio) non siano praticamente diminuiti, anzi…
Al contrario, i prezzi dei vini francesi (premiers crùs classés di Bordeaux a parte, comunque venduti allo steso prezzo di un noto Langhe Nebbiolo) sono scesi in maniera sensibile per restare competitivi con i vini del nuovo mondo. E se é vero che i Giapponesi sono disposti a spendere molto per una buona bottigia di vino, non comprano più qualunque bottiglia purché sia cara e incensata dalle guide. Ed allora come stupirsi se una parte dei consumatori giapponesi, a prezzo uguale, preferisce consumare dei vini, soprattutto francesi, che hanno una storia ed una tradizione alle spalle piuttosto che degli IGT dell’ultima ora o dei DOCG che non hanno nessuna tipicità e che in più sono in diretta competizione con i merlot, cabernet etc. del nuovo mondo, assai più economici ed affidabili?

martedì 8 giugno 2010

ASIA E SUD AFRICA SARANNO LE NUOVE FRONTIERE DEL VINO ITALIANO?

Navigando sul web mi sono imbattuto in questo articolo fatto con i dati forniti da Assocamerestero, e nel quale mi sono pienamente ritrovato per aver già assaporato tale esperienza sulle mie spalle e su quelle dell'Azienda per cui lavoro. Vi rimetto l'articolo: "Grandi opportunita' per il vino italiano in Asia e Sud Africa. Un'indagine realizzata dalle Camere di Commercio Italiane all'Estero, individua grandi aree di mercato per le produzioni italiane, ma a pesare fortemente, sono la mancanza di un "brand Italia" riconoscibile e di campagne promozionali market oriented.Questa vasta area del mondo costituisce difatti un mercato ancora poco avvezzo al consumo di vino, ma dalla grandi potenzialità per le imprese produttrici italiane: nel biennio 2007/2008, il valore del nostro export è cresciuto di 5 milioni di euro, mostrando una flessione tendenziale solo nei primi 8 mesi del 2009 pari al 7%, comprensibile alla luce della pesante congiuntura economica, e che peraltro è inferiore a quella francese, pari al 16%. I vini italiani sembrano tuttavia trovare maggiore difficoltà rispetto ad altri di affermarsi su questi mercati, colpa di una strategia di penetrazione commerciale poco strutturata e sistemica, spesso definita pionieristica e, ancora, di semplice familiarizzazione.
L’Italia risulta essere il primo Paese produttore ed esportatore di vino per volumi a livello mondiale, ma non riesce, in Asia e Sud Africa, ad esprimere, come potrebbe, le sue potenzialità.
Le cause di questa empasse sono da ricercare principalmente nell’eccellente campagna di marketing del settore vinicolo francese da un lato, e negli imbattibili listini dei prodotti australiani e cileni dall'altro, che sembrano sottrarre terreno alle produzioni italiane.
Questione certamente legata alle peculiarità del tessuto produttivo italiano, caratterizzato, ad eccezione di casi sporadici, dalla presenza di una molteplicità di piccole cantine che non dispongono di risorse sufficienti per avventurarsi in mercati esteri e che raramente agiscono in consorzi. Ad incidere ulteriormente è la mancanza di una strategia promozionale e di vendita, che può essere ricondotta all'assenza di un marchio Italia che sia capace di essere rappresentativo delle nostre produzioni vitivinicole, contrariamente da quanto fatto dalla Francia che è riuscita, con un'astuta strategia di marketing, a rendere il Beaujolais Nouveau un marchio di eccellenza internazionalmente riconosciuto.
"Le CCIE dell'Area Asia e Sud Africa si stanno muovendo da tempo per dare visibilità ai nostri vini" - sostiene Davide Cucino, Presidente della Camera di Commercio Italiana in Cina - "Con la loro azione promozionale le Camere stanno puntando ad avvicinare tali Paesi alle nostre produzioni, orientandole e, direi, anche educandole a nuovi gusti e sapori. Molte delle nostre produzioni si discostano, infatti, per qualità organolettiche da quelle normalmente bevute dai consumatori locali, dolci, fruttate e leggere. Anche per questo, i vini del Sud Italia, che aderiscono maggiormente a queste caratteristiche, stanno mostrando margini di crescita superiori ai nostri rossi classici, con percentuali, come in Thailandia, anche superiori al 20%".

lunedì 7 giugno 2010

OSCAR DEL VINO 2010

Sono stati assegnati, a Roma,gli “Oscar del Vino” 2010, l’evento ideato dall'A.i.s.-Bibenda (e che sarà trasmesso su Rai Uno il 17 luglio alle ore 23).
Ecco i premiati: il miglior vino spumante il Franciacorta Brut Satèn 2004 Palazzo Lana - Berlucchi - Borgonato di Corte Franca (Brescia); il miglior vino bianco il Sauvignon Vie 2008 San Patrignano - Coriano (Rimini); il miglior vino rosso il Vino Nobile di Montepulciano 2007 - Fattoria del Cerro - Acquaviva di Montepulciano (Siena); il miglior vino emergente il Franciacorta Villa Crespia NumeroZero Riserva Francesco Iacono - Muratori - Adro (Brescia); il miglior rapporto qualità/prezzo il Ginepreta 2007 - Cirulli - Ficulle (Terni); il miglior produttore Cecchi - Castellina in Chianti (Siena); il miglior giornalista/scrittore Marcello Masi (Tg2); il miglior ristorante/carta dei vini Spiritodivino di Montefalco (Perugia); il miglior sommelier Simone Semprini - The Ritz - Londra.
Il premio speciale della giuria 2010 è stato assegnato all’azienda vitivinicola Castello Banfi di Montalcino (Siena) con la seguente motivazione: “Pionieri e protagonisti dell’ambizioso progetto italiano mirato al mercato internazionale del vino di qualità hanno contribuito in maniera determinante al successo del nostro paese, fino a renderlo il primo assoluto nel mercato americano. In Italia le loro sperimentazioni e ricerche, in vigna e in cantina, hanno fatto scuola alla nuova enologia nascente. Un’azienda nata con un sano rapporto con l’ambiente e sviluppata attraverso importanti investimenti nella cultura che hanno prodotto un fondamentale arricchimento del territorio”.
La novità 2010 “La Targa d’Oro” di Bibenda e Duemilavini, assegnata ad un personaggio che ha dedicato la sua vita al vino: Bruno Ceretto di Alba, grande ambasciatore del Piemonte e dell’Italia nel mondo.

L'ARTE DI COMUNICARE


Oggi il mitico prof. Micozzi Gabriele, ci ha invitato a dare sfogo alla nostra comunicazione personale, dopo averci rivelato alcuni trucchi fonici e di contenuto sulla stesura di un discorso. Argomento: parlare di noi e della nostra Azienda.Ecco cosa è venuto fuori:
"Si ode il mare, si sentono le cicale, si ammirano imponenti catene montuose che fanno da sfondo a sinuose colline verdi. Ci troviamo in un piccolo borgo contadino, San Savino, dove io Maurizio presto le mie fatiche, mi adopero come formica per portare il gonfalore dei Poderi Capecci San Savino. Sullo stemma possiamo ammirare un'armilla; è questa la nostra storia che si tramanda fin dai tempi dei Piceni e ai quali ci siamo ispirati per continuare la loro vocazione agricola e commerciale. I nostri frutti sono unici, tipici e ricordano i sapori e i colori di questa terra rimanendo indelebili nella memoria di chi avrà la fortuna di poterne godere."

domenica 6 giugno 2010

VINO IN SOLUZIONE MONODOSE


Che ne pensate di questa estroversa idea di Oneglass wine ? Una serie di quattro vini (Igt di Vermentino, Sangiovese, Pinot Grigio e Cabernet Sauvignon) distribuiti in confezioni monodose da 100 ml a forma di bottiglia. Packaging giovane per un target giovane visto che l’obiettivo è proprio quello di andare a colpire single e coppie (senza figli) o anche genitori single che rappresentano insieme all’incirca l’89% dei consumatori. Un prodotto facilmente distribuibile nella Gdo dove, il packaging, è curato nei minimi particolari. E’ pratico e leggero e anche ecologico: l’imballaggio è riciclabile, composto al 74% di carta e si può appiattire dopo l’uso per ridurre l’ingombro. Molte volte accade che uno non abbia voglia di aprire un’intera bottiglia di vino per berla da solo, ma al tempo stesso ha il desiderio di un bicchiere; ecco una soluzione eccellente secondo me.

venerdì 4 giugno 2010

I 10 PUNTI DI FORZA DEL NUOVO TURISMO DEL VINO DEL BELPAESE

Puntare sulla qualità del vino. Investire sull’ambiente e sul paesaggio, sulle attrazioni turistico-culturali e sui beni storici e archeologici, senza dimenticare di caratterizzare fortemente l’identità del territorio. Sono solo alcuni dei 10 punti di forza che costituiscono le fondamenta del nuovo turismo enogastronomico del Belpaese, una lista stilata dai comuni italiani ad “alta vocazione vitivinicola”.
Il sondaggio ha coinvolto 250 degli oltre 1.700 comuni interessati al turismo enogastronomico, selezionati in virtù della presenza nel proprio territorio di importanti cantine, ristoranti, musei del vino o Strade del Vino, che hanno così selezionato i principali atout su cui puntare, al fine di contrastare le minacce future che attendono il settore turistico, prima fra tutte il calo della domanda a causa della difficile congiuntura economica. Il primo punto di forza è la qualità del prodotto base, ovvero il vino (per il 76% dei comuni), il secondo la qualità ambientale e paesaggistica (48,8%), il terzo le attrazioni turistico-culturali, storiche e archeologiche (28,1%), il quarto la forte caratterizzazione identitaria dei luoghi (24,8%), il quinto la possibilità di costruire itinerari turistici differenziati (18,6%), il sesto la tradizione e l’innovazione della cultura dell’accoglienza del Belpaese (14,9%), il settimo i collegamenti con le reti nazionali e internazionali (13,6%), l’ottavo la notorietà planetaria dei luoghi del Belpaese (12,8%), il nono il buon livello di diversificazione dell’offerta della ristorazione tricolore (12,8%) e il decimo la varietà del prodotto base (il vino italiano nelle sue più diverse articolazioni, dai prodotti ottenuti dai moltissimi vitigni di antica coltivazione alle molteplici tipologie, per l’11,2% dei comuni interpellati).

CORSO DI DEGUSTAZIONE-lezione 6



Per oggi questa è l'ultima lezione che vi propongo e tratta i colori del vino.

CORSO DI DEGUSTAZIONE-lezione 5



5° lezione di Carlo Macchi è sui Calici di servizio.

CORSO DI DEGUSTAZIONE-lezione 4



Ascoltate questa divertente parodia che rende bene il significato sull'argomento del Servizio

giovedì 3 giugno 2010

LA CARTA DEI VINI

Mentre tanti parlano di crisi e di recessione, e di consumi che cambiano,
secondo la ristorazione italiana di qualità, la carta dei vini,
che già mediamente conta 250
etichette, è destinata a crescere, sia per numero di proposte,
soprattutto con vini del territorio in cui si trova il ristorante, che nei
prezzi medi delle bottiglie. Lo dice il 38% dei ristoratori sondati da
Gfk Eurisko, con il 52% che, invece, non prevede variazioni, e solo il
18% che pensa di tagliare. Ma oggi, qual è l’identikit della carta dei vini?
Secondo l’indagine, la maggior parte delle bottiglie (43%) sta
nell’ampia fascia tra i 50 e i 200 euro, con i rossi ancora più presenti
dei bianchi, e le bollicine che vantano più di 1 etichetta su 5, anche se
ormai nessun ristorante rinuncia a offrire qualche bottiglia di vino
rosato e da dessert. E il responsabile della carta non sceglie tanto in
base a recensioni e simili: per il 43% la prima motivazione è una
decisione personale, basata sul proprio gusto e sulle richieste dei
clienti. Poi vengono la provenienza (38%) e la qualità del vino (24%).

mercoledì 2 giugno 2010

L'EURO BASSO CI AIUTERA' ?

Proviamo a veder il bicchiere mezzo pieno: una
delle conseguenze dei timori per le economie
degli Stati Ue è la perdita di valore dell’Euro,
sceso sotto l’1,24 sul dollaro americano. Per un
settore come quello del vino italiano, fortemente
orientato all’export, e per cui il mercato Usa è
fondamentale per numeri e importanza, questa
potrebbe essere una buona boccata di ossigeno
anche per vedere crescere l’export non solo nei
volumi, come peraltro è successo anche nei giorni
peggiori della crisi, ma, chissà, anche in valore.
Ora gli americani potrebbero tornare con
più intensità a visitare i tanti territori del vino in
Italia, dopo che il flusso era stato un po’ frenato
anche dal cambio sfavorevole. Speriamo bene!

ICE A RISCHIO CHIUSURA ?

L’Istituto per il Commercio con l’Estero è tra le vittime
sacrificali della manovra economica da 24 miliardi, in
Parlamento in queste ore. L’Ice, secondo le
indiscrezioni, sarebbe nella lista degli
enti inutili da tagliare, con le sue competenze divise tra
i Ministeri dello Sviluppo Economico e degli Affari
Esteri. Un taglio che potrebbe penalizzare le tante
azioni di promozione del vino italiano all’estero di cui
l’Ice è sempre stato un importante partner. Siamo
sicuri che sia così inutile?

LA BOCCONI E L'ENOTURISMO

Nonostante i difficilissimi scenari economici, l’enoturismo è uno dei
pochi asset economici che continua a crescere: nel 2009, 6 milioni di
enoappassionati in giro per l’Italia, per un volume di affari che vale 3
miliardi di euro (+20% sul 2008 - dati Città del Vino/Censis Servizi).
Ma per cogliere appieno le opportunità di questo comparto, e
continuare a fare dell’Italia uno dei Paesi più competitivi in materia, è
importante costruirsi una formazione professionale e approfondita.
Un’occasione di prestigio arriva niente meno che dalla Bocconi che,
dal 9 all’11 giugno, organizza il corso “Il turismo enogastronomico:
strategie e strumenti di promozione”, coordinato dalla professoressa
Magda Antonioli, “inventrice” e tra le massime esperte di
enoturismo, e direttore del Master in Economia del Turismo del
prestigioso ateneo milanese. Una full immersion nei tanti aspetti
dell’enoturismo, dai territori alle produzioni vinicole e alimentari di
eccellenza, ma anche i cambiamenti della domanda, i processi di
comunicazione, le tecnologie informatiche, l’accoglienza in cantine e
strutture ricettive e il confronto di casi di successo italiani e
internazionali.

SALONE DEL GUSTO 2010

Ridare valore al cibo e al lavoro di chi lo produce, lottare contro l’enorme spreco di cibo nel mondo e
valorizzare le differenze enogastronomiche di tutto il pianeta: ecco gli obiettivi del Salone del Gusto, al
Lingotto Fiere di Torino dal 21 al 25 ottobre, insieme a “Terra Madre”. “Sarà un grande Salone - ha
annunciato il presidente internazionale di Slow Food, Carlo Petrini - più grande delle altre edizioni e
ancora più ricco di contenuti. Per uscire da questa crisi servono i territori e le economie locali. E i
contadini vanno pagati il giusto, adesso prendono troppo poco: 27 centesimi per litro di latte, 10 euro
per quintale di grano. Così non si dà più valore al cibo, ci chiediamo solo quanto costa e deve costare
poco. Il cibo è energia primaria e quindi bisogna tornare ad avere rispetto per ciò che mangiamo. E poi
sprechiamo troppo: ogni giorno, in Italia, 4.000 tonnellate finiscono nella spazzatura”. Per sviscerare
tutti questi temi sono tante le occasioni che propone il Salone 2010: 128 laboratori del gusto, 14 teatri
del gusto, 27 percorsi per bambini, 50 attività didattiche, 23 conferenze e tanti documentari,
cortometraggi e lungometraggi dal festival “Slow Food on Film”. E non mancherà lo spazio per il
nettare di Bacco, con il debutto della sala “Slow wine-banca del vino”, per degustare il meglio
dell’enologia italiana e internazionale. E siccome l’obiettivo è la valorizzazione dei territori e dei 150
Paesi che parteciperanno a “Terra Madre”, lo spazio espositivo non vedrà più le vie tematiche e l’area
dei presidi, ma un’organizzazione fatta per Regione o Paese. E la prima edizione del Salone con la Lega
alla guida del Piemonte, sembra anche confermare la vicinanza di vedute sull’agricoltura tra il Carroccio
e la Chiocciolina: “la Regione - ha detto il presidente Roberto Cota - sostiene l’iniziativa perché è
un’occasione straordinaria per il nostro territorio. L’agricoltura è una risorsa importantissima ed è
sbagliato considerare gli agricoltori lavoratori di serie B”.