Maurizio Peroni

LA VOCE DELLA TIPICITA' DEI VINI DELLA TRADIZIONE PICENA E FAMILIARE !
THE VOICE AND THE UNIQUE CHARACTER OF THE FAMILY AND PICENO TRADITION !

domenica 24 giugno 2012

LA TERZA GENERAZIONE DEL TAPPO

Comincia l'estate e con il gran caldo anche la raccolta della corteccia. L'Estremadura, a quasi quattro ore a ovest di Madrid e a meno di mezz'ora dal Portogallo è una delle terre più ricche al mondo di querce da sughero. La temperatura in questi giorni è già di 35-36 gradi e l'attività è appena partita. L'economia della zona gira attorno al sughero e alla produzione di tappi. Ma dimentichiamoci i vecchi stabilimenti. Qui, tecnologia e natura vanno a braccetto. Con l'obiettivo di sconfiggere definitivamente il classico “odore di tappo” che fa dannare produttori, sommelier, clienti. Un problema che, coi sugheri naturali, riguarda mediamente quattro bottiglie su cento. Ora, a promettere sicurezza, neutralità sensoriale è un metodo "guardiano degli odori" brevettato da Diam Bouchage, azienda francese, quotata in Borsa, che rappresenta il 12% della produzione mondiale di tappi. La Diam ha brevettato un sistema che elimina 140 molecole, compreso il tricloroanisolo, il famigerato TCA che causa l'odore di tappo. Il tappo Diam, garantito con una polizza assicurativa, costa meno del monopezzo naturale, non è sintetico ma una agglomerazione hitech di granella di sughero naturale, una sorta di terza via tra le opzioni sintetico e naturale. Come dice il direttore generale Dominique Tourneix ''Siamo come pasticceri con la materia prima che va al molino per la frantumazione e la vagliatura. Per passare poi alla cottura con tre ingredienti: granella di sughero purificata con Co2 supercritica (a metà tra lo stato liquido e gassoso) per eliminare il rischio di tappo, un legante (il poliuretano), e come lievito una piccola bollicina che si gonfia durante la cottura del tappo, rendendo la struttura molto omogenea, con proprietà meccaniche specifiche e un controllo della permeabilità, fattore utile per l'invecchiamento del vino”. “Cambia il modo di fare il vino” continua Tourneix “senza più compensazioni con la solforosa. Abbiamo l'esclusiva su un collante alimentare prodotto dalla Bostik, ma presto avremo collanti naturali, ricavati dal lino. E con gli scarti di lavorazione produrremo lo squalene, un antiossidante derivato dalla suberina, che sarà la crema di bellezza del futuro".La Diam Bouchage punta sul mercato dei vini di fascia medio-alta. L'Italia, grazie alla partnership con la Paolo Araldo di Calamandrana, Piemonte , rappresenta il 20% della quota mercato per Diam che annovera tra i suoi clienti le aziende vinicole Antinori, Cavit, Carpené Malvolti, Ruggeri, Ernste-Nuelte. Mentre la Francia è il principale mercato, con forniture alle maison di champagne Moet et Chandon, Mumm e Perrier-Jouet.

mercoledì 20 giugno 2012

LA CINA SFIDA LE POTENZE DEL VINO

I vini cinesi sono all’altezza dei migliori vini del mondo? Non è una domanda retorica. Basta pensare che tra il 50° e 32° parallelo si trovano le principali aree vitivinicole del mondo: Bordeaux, Borgogna, Napa Valley, Langhe, Franciacorta,Chianti...e, spostandoci ad est, la Cina. Se le coordinate geografiche non bastassero, si può sempre ricorrere ai numeri: 30 milioni di ettolitri di vino prodotti annualmente (poco meno della metà della produzione complessiva italiana) 1.500 grandi cantine e la più alta percentuale di vigneti impiantati negli ultimi anni.A completare il quadro ci sono gli enormi investimenti in macchinari, tecnologia, e soprattutto know-how enologico. Ed è su questo ultimo punto che bisogna riflettere. La tattica della Cina è quella di “imparare l'arte e metterla da parte”, grazie ad una strana alleanza con i francesi che ha cambiato perfino il paesaggio cinese. Nel giro di pochi anni vigne e Chateaux si son fatti largo tra shikumen, villaggi rurali, stradine sterrate e terrazze di riso. Il segreto di questo cambiamento si capisce subito: dietro ad ogni azienda cinese del vino, pubblica o privata, c'è sempre un grande viticoltore francese. Come l'enologo Gérard Colin, che da St. Emilion, nel cuore di Bordeaux, è arrivato a Penglai, nel cuore dello Shandong, la più antica e ampia provincia vitivincola cinese con un clima simile a quello bordolese, per dedicarsi al progetto di realizzare uno Château Lafite-Rotschild grazie ad una joint venture Baroni de Rotschild-Citc, la società di investimento, controllata dal governo di Pechino. «Abbiamo rimosso 40mila tonnellate di pietre e ottenuto 30 ettari di terreno e 9 mila chilometri di muretti in pietra, dodici ettari sono già stati piantati a Cabernet Sauvignon, ma ci sono anche filari di Syrah, Cabernet Franc, Merlot e Marselen”: insomma, tutti i vitigni base dei più famosi blend francesi per un investimento iniziale di 100 milioni di yuan (circa 15 milioni di dollari). La prima vendemmia nel 2014.Ma Monsieur Colin non è l'unico enologo emigrato nello Shandong per diffondere l'arte del vino. Il suo connazionale Michel Rolland, uno degli enologi più famosi al mondo, è stato assoldato come consulente da Cofco (il colosso pubblico dell'agroalimentare: dai cereali alle caramelle) impegnandolo a Chateau Junding, conosciuto anche come la Nava Valley cinese. Spostandoci nelle varie regioni vitivincole del Paese, la situazione non cambia poi molto: sventola bandiera francese anche nella provincia di Yunnan, in particolare a Dequin (molto più vicina a Vietnam e Thailandia che a Shangai) dove Moet Hennessy ha creato la joint venture Shangri-la Winery, e anche nella quotatissima regione autonoma Ningxia, alle pendici delle Helan Mountains, dove la multinazionale francese Pernod Ricard è entrata in affari con alcuni imprenditori locali per fondare Domaine Helan Mountain. Una precisazione: quando si parla di Chateaux o Domaines non si indicano semplici cantine, ma veri Disneyland del vino dove gli ospiti, oltre a bere il vino della maison, possono soggiornare, giocare a golf e visitare i vigneti. Il messaggio è chiaro: la Cina non vuole soltanto fare vino, ma vuole farne uno status symbol che evochi benessere e arte da vivere. I francesi lo hanno capito benissimo e si stanno muovendo anche su questo terreno. Non è un caso se sono in aumento i centri commerciali che ospitano al loro interno boutique, brasserie, café e bar a vino. Il prossimo aprirà a Suzhou (89 km da Shangai) nel 2014. Ma i cugini francesi debbono fare attenzione: quando non avranno più bisogno di loro i cinesi li scaricheranno. Ci sono centinaia di neo-miliardari pronti a prenderne il posto. Come giudicare, per esempio, l'arrivo del primo vino Chardonnay cinese al Salon du vin di Parigi, organizzato dalla Revue du Vin de France, che ha aperto una redazione a Shangai. L'allievo che supera il maestro o una sfida portata direttamente in casa dei grandi dell'enologia mondiale? E noi italiani? Siamo bravi come i cugini francesi? Attualmente abbiamo il 6% del mercato cinese del vino. Se oltre che bravi fossimo anche un Paese dinamico, il fenomeno potrebbe diventare un boom. Se poi sapessimo farci rispettare, ancora meglio. Rischiamo, invece, il contropiede. Perchè i cinesi vendono in Italia il loro (poco, per ora) vino senza tante formalità e con i dazi minimi imposti dagli accordi del Wto (World Trade Organization). Diversamente per vendere un container del nostro vino in Cina si deve sottostare a una trafila delirante, che nessuno contesta. Le procedure per esportare sono estenuanti.... partono dagli oculati controlli di qualità e ai pesantissimi dazi finora applicati si aggiunge una burocrazia demenziale.Qualche esempio; ecco i documenti necessari per esportare in Cina: 1. Contratto di vendita o conferma d'ordine 2. Polizza di carico (bill of lading) 3. Certificato di origine rilasciato dalla CdC o laboratori accreditati 4. Avviso di spedizione (da spedizioniere importatore) 5. dichiarazione doganale di esportazione 6 n.5 originali della lista di carico (packing list) 7. n. 5 originali della fattura pro-forma 8. Originale del certificato sanitario 9. n. 5 originali della etichetta frontale e posteriore 10. un originale e una copia del certificato sanitario del produttore e la sua traduzione in cinese 11. un originale e una copia del processo di produzione del vino e la sua traduzione in cinese 12. Etichetta posteriore in cinese Questa faccenda dell'etichetta posteriore cinese merita un approfondimento. Perchè va fatta come Confucio comanda. Il formato dell’etichetta non può avere un’altezza inferiore ai 10 cm e una larghezza inferiore ai 7 cm. La dimensione dei caratteri cinesi non può essere inferiore ai 2mm. Le diciture “peso netto” e “nome del vino” devono essere indicate in caratteri le cui dimensioni non possono essere inferiori ai 4 mm. Sull’etichetta deve essere stampato il codice a barre. Saltiamo le altre tre pagine di istruzioni per gli esportatori per ricordare che il Ciq (Chines Inspection and Quarantine) pratica severi controlli sanitari anche attraverso ispezioni a campione. I dazi che la Cina applica sul vino italiano sono stati ridotti dal 48 al 14%. Peccato che però vi si aggiunga un 27% di altre imposte.

giovedì 14 giugno 2012

MANCANZA DI VINO IN CALLIFORNIA

La domanda di vino californiano, negli Stati Uniti,ha visto una riduzione costante negli anni 2000,tanto che in California, dove si produce il 90% del vino americano, si è spesso deciso di riconvertire il vigneto ad altre coltivazioni. Una scelta che, nel lungo periodo, si è dimostrata ampiamente sbagliata. Oggi, come riporta il “Wall Street Journal”, l’offerta non è in grado di soddisfare la domanda e, a fronte del rialzo dei prezzi, le importazioni sono quasi raddoppiate dal 2000, favorendo i vini italiani e australiani.

mercoledì 6 giugno 2012

IL RESOCONTO DI E-COMMERCE FORUM DI MILANO

Corre voce che Mark Zuckerberg sia pronto a fare un ultimo colpo alla vigilia dell’Ipo di Facebook. Nell’e-commerce. Gli analisti sono scettici, ma quel che è certo è che già oggi le recensioni e i commenti sui social network hanno un effetto determinante per le vendite online. In Italia su Facebook si discutono gli acquisti fatti, come in un’enorme piazza virtuale: il 63% dei navigatori partecipa ai gruppi di acquisto sui social network, il doppio del 32% dello stesso universo di utenti internet che effettivamente sono attivi nel comprare online. Il social commerce è il trend che si va imponendo con più forza nel magmatico mondo delle vendite su internet. Le aziende si limitano spesso a usare i network in maniera poco integrata, come mera vetrina, ma le sperimentazioni si moltiplicano: dalle offerte esclusive agli incentivi per indurre gli amici all’acquisto, l’obiettivo è coinvolgere sempre più il consumatore. In Italia l’e-commerce è entrato di prepotenza nell’Agenda digitale, forte di una crescita che non accenna a rallentare. Dopo un 2011 chiuso con un incremento dell’11% delle vendite a 8,1 miliardi di euro, le transazioni sono balzate del 19% nei primi tre mesi 2012, secondo l’Osservatorio CartaSi-Netcomm. Una performance che contrasta con la difficoltà con cui si dibatte il retail fisico. «Internet allarga l’offerta potenziale di mercato e provoca automaticamente un abbassamento dei prezzi», afferma Roberto Liscia, presidente di Netcomm. «La crescita rimane dettata dal fattore-prezzo», gli fa eco Riccardo Mangiaracina, responsabile Osservatorio B2C del Politecnico di Milano. La possibilità di comparare i prezzi, la maggior scelta, le offerte imperdibili presenti solo sul web sono gli elementi decisivi per i consumatori, secondo il rapporto Contactlab che è stato presentato all‘e-Commerce Forum di Milano. E come elementi abilitanti della scelta indicano la flessibilità dell’offerta, la varietà dei mezzi di pagamento, l’accessibilità (il 50% dice di acquistare in qualsiasi momento della giornata). Anche in mobilità, che è l’altro grande fenomeno (+120% le vendite da smartphone).Più recente è l’emersione del “subscription commerce”, la vendita su abbonamento di box di campioni che si va diffondendo soprattutto nella cosmetica. Restano comunque diffuse le diffidenze. Molti ritengono fondamentale l’esperienza fisica nell’acquisto, mentre resistono i timori per la sicurezza dei pagamenti. Proprio per superare questo scoglio Netcomm ha messo a punto un nuovo strumento, accanto a carta di credito e sistemi ad hoc come PayPal: l’home banking. Da giugno sarà possibile trovare sui siti di e-commerce anche il pulsante “My Bank”, per pagare direttamente dal proprio conto bancario online. Inevitabilmente l’Italia denuncia ritardi, condizionati dalle infrastrutture, ma anche di familiarità con il web: anche tra i più giovani (16-24 anni) il tasso di penetrazione di internet è dell’81%, 10 punti in meno della media Ue. Così solo il 15% degli italiani acquista online (43% la media Ue), e solo il 5% delle aziende utilizza l’e-commerce (15% Ue). Per questo Netcomm propone, tra l’altro, una detassazione per le imprese sui ricavi da e-commerce B2B internazionale e un’Iva ridotta al 10% per il B2C. Per le aziende è una sfida carica di opportunità, ma non semplice: nuovi mercati che si aprono e costi operativi ridotti, anche se a scapito dei margini. Le pmi non devono quindi fare il passo più lungo della gamba, partendo con le piattaforme già pronte per i negozi online. Ma anche riscoprendo quella capacità di fare sistema che è stata alla base dei distretti industriali. È tutto il sistema Italia chiamato a giocare la sua partita: già oggi le vendite estere online sono una delle voci più dinamiche (+32% nel 2011). Liscia fa la sua proposta: «Un Ice digitale per promovere e rendere visibili in rete i prodotti italiani attraverso un’indicizzazione sui motori di ricerca e una guida contribuita dalle aziende che dia vita a un social network».

ITALIAN STYLE PER ZUCKERBERG

Il wine & food italiano colpisce ancora: la lista delle star che coltivano un vero e proprio culto per il made in Italy a tavola si arricchisce di un nuovo spasimante,Mark Zuckerberg, il padre di Facebook e novello ultramiliardario, che ha scelto Roma per festeggiare adeguatamente il suo matrimonio con Priscilla Chen. Al “Pierluigi”, storico ristorante di Campo de’Fiori, i “piccioncini” hanno scelto un menu assolutamente vegetariano: tagliolini ai fiori di zucca,carciofi alla romana, mozzarella di bufala Dop, tutto innaffiato da una bottiglia di Fiano di Avellino.Modesto lo Zuckerberg!