Maurizio Peroni

LA VOCE DELLA TIPICITA' DEI VINI DELLA TRADIZIONE PICENA E FAMILIARE !
THE VOICE AND THE UNIQUE CHARACTER OF THE FAMILY AND PICENO TRADITION !

mercoledì 20 giugno 2012

LA CINA SFIDA LE POTENZE DEL VINO

I vini cinesi sono all’altezza dei migliori vini del mondo? Non è una domanda retorica. Basta pensare che tra il 50° e 32° parallelo si trovano le principali aree vitivinicole del mondo: Bordeaux, Borgogna, Napa Valley, Langhe, Franciacorta,Chianti...e, spostandoci ad est, la Cina. Se le coordinate geografiche non bastassero, si può sempre ricorrere ai numeri: 30 milioni di ettolitri di vino prodotti annualmente (poco meno della metà della produzione complessiva italiana) 1.500 grandi cantine e la più alta percentuale di vigneti impiantati negli ultimi anni.A completare il quadro ci sono gli enormi investimenti in macchinari, tecnologia, e soprattutto know-how enologico. Ed è su questo ultimo punto che bisogna riflettere. La tattica della Cina è quella di “imparare l'arte e metterla da parte”, grazie ad una strana alleanza con i francesi che ha cambiato perfino il paesaggio cinese. Nel giro di pochi anni vigne e Chateaux si son fatti largo tra shikumen, villaggi rurali, stradine sterrate e terrazze di riso. Il segreto di questo cambiamento si capisce subito: dietro ad ogni azienda cinese del vino, pubblica o privata, c'è sempre un grande viticoltore francese. Come l'enologo Gérard Colin, che da St. Emilion, nel cuore di Bordeaux, è arrivato a Penglai, nel cuore dello Shandong, la più antica e ampia provincia vitivincola cinese con un clima simile a quello bordolese, per dedicarsi al progetto di realizzare uno Château Lafite-Rotschild grazie ad una joint venture Baroni de Rotschild-Citc, la società di investimento, controllata dal governo di Pechino. «Abbiamo rimosso 40mila tonnellate di pietre e ottenuto 30 ettari di terreno e 9 mila chilometri di muretti in pietra, dodici ettari sono già stati piantati a Cabernet Sauvignon, ma ci sono anche filari di Syrah, Cabernet Franc, Merlot e Marselen”: insomma, tutti i vitigni base dei più famosi blend francesi per un investimento iniziale di 100 milioni di yuan (circa 15 milioni di dollari). La prima vendemmia nel 2014.Ma Monsieur Colin non è l'unico enologo emigrato nello Shandong per diffondere l'arte del vino. Il suo connazionale Michel Rolland, uno degli enologi più famosi al mondo, è stato assoldato come consulente da Cofco (il colosso pubblico dell'agroalimentare: dai cereali alle caramelle) impegnandolo a Chateau Junding, conosciuto anche come la Nava Valley cinese. Spostandoci nelle varie regioni vitivincole del Paese, la situazione non cambia poi molto: sventola bandiera francese anche nella provincia di Yunnan, in particolare a Dequin (molto più vicina a Vietnam e Thailandia che a Shangai) dove Moet Hennessy ha creato la joint venture Shangri-la Winery, e anche nella quotatissima regione autonoma Ningxia, alle pendici delle Helan Mountains, dove la multinazionale francese Pernod Ricard è entrata in affari con alcuni imprenditori locali per fondare Domaine Helan Mountain. Una precisazione: quando si parla di Chateaux o Domaines non si indicano semplici cantine, ma veri Disneyland del vino dove gli ospiti, oltre a bere il vino della maison, possono soggiornare, giocare a golf e visitare i vigneti. Il messaggio è chiaro: la Cina non vuole soltanto fare vino, ma vuole farne uno status symbol che evochi benessere e arte da vivere. I francesi lo hanno capito benissimo e si stanno muovendo anche su questo terreno. Non è un caso se sono in aumento i centri commerciali che ospitano al loro interno boutique, brasserie, café e bar a vino. Il prossimo aprirà a Suzhou (89 km da Shangai) nel 2014. Ma i cugini francesi debbono fare attenzione: quando non avranno più bisogno di loro i cinesi li scaricheranno. Ci sono centinaia di neo-miliardari pronti a prenderne il posto. Come giudicare, per esempio, l'arrivo del primo vino Chardonnay cinese al Salon du vin di Parigi, organizzato dalla Revue du Vin de France, che ha aperto una redazione a Shangai. L'allievo che supera il maestro o una sfida portata direttamente in casa dei grandi dell'enologia mondiale? E noi italiani? Siamo bravi come i cugini francesi? Attualmente abbiamo il 6% del mercato cinese del vino. Se oltre che bravi fossimo anche un Paese dinamico, il fenomeno potrebbe diventare un boom. Se poi sapessimo farci rispettare, ancora meglio. Rischiamo, invece, il contropiede. Perchè i cinesi vendono in Italia il loro (poco, per ora) vino senza tante formalità e con i dazi minimi imposti dagli accordi del Wto (World Trade Organization). Diversamente per vendere un container del nostro vino in Cina si deve sottostare a una trafila delirante, che nessuno contesta. Le procedure per esportare sono estenuanti.... partono dagli oculati controlli di qualità e ai pesantissimi dazi finora applicati si aggiunge una burocrazia demenziale.Qualche esempio; ecco i documenti necessari per esportare in Cina: 1. Contratto di vendita o conferma d'ordine 2. Polizza di carico (bill of lading) 3. Certificato di origine rilasciato dalla CdC o laboratori accreditati 4. Avviso di spedizione (da spedizioniere importatore) 5. dichiarazione doganale di esportazione 6 n.5 originali della lista di carico (packing list) 7. n. 5 originali della fattura pro-forma 8. Originale del certificato sanitario 9. n. 5 originali della etichetta frontale e posteriore 10. un originale e una copia del certificato sanitario del produttore e la sua traduzione in cinese 11. un originale e una copia del processo di produzione del vino e la sua traduzione in cinese 12. Etichetta posteriore in cinese Questa faccenda dell'etichetta posteriore cinese merita un approfondimento. Perchè va fatta come Confucio comanda. Il formato dell’etichetta non può avere un’altezza inferiore ai 10 cm e una larghezza inferiore ai 7 cm. La dimensione dei caratteri cinesi non può essere inferiore ai 2mm. Le diciture “peso netto” e “nome del vino” devono essere indicate in caratteri le cui dimensioni non possono essere inferiori ai 4 mm. Sull’etichetta deve essere stampato il codice a barre. Saltiamo le altre tre pagine di istruzioni per gli esportatori per ricordare che il Ciq (Chines Inspection and Quarantine) pratica severi controlli sanitari anche attraverso ispezioni a campione. I dazi che la Cina applica sul vino italiano sono stati ridotti dal 48 al 14%. Peccato che però vi si aggiunga un 27% di altre imposte.

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