1. Pierre Pringuet
2. Eric de Rothschild
3. Robert Parker
4. Mel Dick
5. Robert Sands
6. Annette Alvarez
7. Don St Pierre Jr
8. Wu Fei
9. Eduardo Guilisasti
10. Jancis Robinson
11. Bernaud Arnault
12. Nobutada Saji
25. J. Charles Boisset
26. Jeannie Cho Lee
27. Simon Berry
28. Hugh Johnson
29. Peter Gago
30. Aubert de Villaine
31. John Kapon
32. Ch’ng Poh Tiong
33. S. Derenoncourt
34. Pierre A. Casteja
35. Piero Antinori
36. G. de Montgolfier
37. Denis Dubourdieu
13. Steven Spurrier
14. Dan Jago
15. Gina Gallo
16. Wine Blogger
17. Robert Shum
18. Michel Rolland
19. Pierre Castel
20. Tony Laithwaite
21. Marvin Shanken
22. Miguel Torres
23. Sylvie Cazes
24. Gary Vaynerchuk
38. Eric LeVine
39. Gary Boom
40. Allen Meadows
41. M. Chadronnier
42. Michael Hill Smith
43. Serena Sutcliffe
44. P. M. Guillaume
45. Nicolas Joly
46. Frederic Rouzaud
47. Nicholas Catena
48. Yasuhisa Hirose
49. Pedro Parra
50. Lorenzo Bencistà
Che cosa vuol dire “avere potere” nel mondo del vino? Significa fare un buon
vino? Oppure grandi fatturati e buoni utili? Affermare un’etichetta? Oppure, nel mondo di oggi, dominato dall’immagine e dalla comunicazione,fare moda, creare trend, in altre parole: essere influenti? Lo spiega Guy Woodward, direttore della rivista inglese Decanter che nel numero di luglio pubblica la sua classifica biennale (Power List) dei 50 personaggi più influenti nel mercato, “the peole who influence what’s in your glass”. Diciamo subito che la lista rispecchia perfettamente i nuovi assetti del mercato enologico globale: primeggiano, come sempre, francesi e americani ma cresce, eccome!, la presenza (e quindi l’influenza) dei cinesi. Al primo posto c’è Pierre
Pringuet, ceo del colosso francese Pernod Richard (7 miliardi di euro di fatturato e brand come gli Champagne Mumm e Perrier-Jouet). Segue Eric de
Rothshild , presidente di Domaines de Barons de Rothschild (salito dal numero 20 grazie all’enorme influenza che Chateau Lafite ha attualmente in Cina, soprattutto nel mercato delle aste: si ricorda ancora l’asta record di Hong Kong dove tre bottiglie Lafite 1869 sono state battute per 500mila euro). Terzo posto per Robert Parker, l’esperto e critico di vino americano che rispetto allo scorso anno perde, però, una posizione. Ma per trovare la presenza cinese non dobbiamo scendere troppo: già in ottava posizione ecco Wu Fei, general manager di Cofco, colosso pubblico cinese dell’agroalimentare ; seguito, in 28° posizione da Robert Shum, fondatore di Aussino World Wines (trading company cinese di vino) . Entrano in classifica anche la blogger di Hong Kong Jeannie Cho Lee (26 °) e Ch’ng Poh Tiong (32°), editore di The Wine Review, la più antica rivista vinicola del sud-est asiatico. E gli italiani?. Nella classifica la rappresentanza del Belpaese è dimezzata: da quattro del 2009 a due. Il primo è Piero Antinori (35°), uno dei nomi più noti dell’Italia vinicola, alla guida delle Tenute Antinori (2.200 ettari divisi tra Toscana, Umbria, Piemonte, Franciacorta e Puglia, per una produzione di 20milioni di bottiglie). L’altro italiano non è un produttore, ma un piccolo industriale metalmeccanico, titolare di Enomatic di Firenze (leader italiano nelle tecnologie per il vino), Lorenzo Bencistà Falorni che in meno di dieci anni ha portato i suoi prodotti in oltre 70 Paesi. A lui Decanter riserva la posizione numero 50. Ma per i lettori della rivista inglese Falorni meritava il primo posto: nel sondaggio sul sito della rivista lo ha scelto il 22% dei 2.500 lettori-votanti.
Maurizio Peroni
LA VOCE DELLA TIPICITA' DEI VINI DELLA TRADIZIONE PICENA E FAMILIARE !
THE VOICE AND THE UNIQUE CHARACTER OF THE FAMILY AND PICENO TRADITION !
THE VOICE AND THE UNIQUE CHARACTER OF THE FAMILY AND PICENO TRADITION !
lunedì 20 giugno 2011
LA CINA PUNTA SUL BUSINESS DEL VINO
Il rapporto tra il vino e la Cina si fa sempre più intenso. E sempre più internazionale. A pochi giorni dal via di Vinexpo, la Camera di Commercio di Bordeaux dà notizia di un accordo con la città cinese di Dalian, vicino a Pechino, 7 milioni di abitanti e 36 di turisti ogni anno, che potrebbe valere un mercato da 1 miliardo di euro. L’accordo prevede non solo l’organizzazione di un “Festival Internazionale del Vino”, già fissato per luglio 2012, ma anche, nello stesso anno, la realizzazione di un “Village des Vins de Bordeaux”, che vedrebbe impegnati la Camera di Commercio francese e la Dalian Haichang Group,l’amministrazione della città cinese e l’Ufficio del Turismo di Dalian uniti per la promozione e l’allargamento del mercato del Bordeaux in primis, e del vino in generale, in Cina, che è già la prima destinazione straniera del grande rosso di Francia, con 33,5 milioni di bottiglie per 375 milioni di dollari nel 2010. Ma la Cina, che ha già comprato diverse cantine di lusso proprio in Francia, sta allargando il tiro fuori dai propri confini e non solo pensando al vino di altissima gamma: un consorzio di investitori
cinesi avrebbe comprato la Paritua Vineyards, realtà specializzata nella produzione di vini di fascia “premium” in Nuova Zelanda, con 60 ettari di vigneto. Insomma, pare proprio che istituzioni e investitori privati della Cina siano sicuri del potenziale che il mercato cinese e asiatico in generale
possano esprimere per il business del vino nei prossimi anni. Anche perché i numeri del passato recente non sembrano lasciare dubbi: in Cina, dove già sono vitati 390.000 ettari di terreno (previsti in crescita del 77% nei prossimi anni), il consumo di vino, dal 2005 al 2009 è raddoppiato, sfiorando il miliardo di bottiglie. E alla Cina guarda anche l’Italia, con un +145% nel 2010 sul 2009, ma con una quota di mercato “straniero” ancora al 6% contro il 46% dei francesi. Ma la domanda è: i cinesi arriveranno a comprare aziende anche in Italia? E se lo faranno, come reagirà il Belpaese enoico?
cinesi avrebbe comprato la Paritua Vineyards, realtà specializzata nella produzione di vini di fascia “premium” in Nuova Zelanda, con 60 ettari di vigneto. Insomma, pare proprio che istituzioni e investitori privati della Cina siano sicuri del potenziale che il mercato cinese e asiatico in generale
possano esprimere per il business del vino nei prossimi anni. Anche perché i numeri del passato recente non sembrano lasciare dubbi: in Cina, dove già sono vitati 390.000 ettari di terreno (previsti in crescita del 77% nei prossimi anni), il consumo di vino, dal 2005 al 2009 è raddoppiato, sfiorando il miliardo di bottiglie. E alla Cina guarda anche l’Italia, con un +145% nel 2010 sul 2009, ma con una quota di mercato “straniero” ancora al 6% contro il 46% dei francesi. Ma la domanda è: i cinesi arriveranno a comprare aziende anche in Italia? E se lo faranno, come reagirà il Belpaese enoico?
lunedì 13 giugno 2011
ITALIA-FRANCIA:LA SFIDA SUL MERCATO
Il tradizionale derby enologico Italia Francia appassiona non solo gli esperti e, in un momento di crisi di tutti gli indicatori internazionali, dà una certa soddisfazione. Siamo primi (almeno) nel vino, hanno titolato tutti i quotidiani di ieri, dedicando paginate e paginate al sorpasso sugli amati-odiati cugini d’Oltralpe. Ma abbiamo davvero battuto i vigneron che sabato prossimo fino al 23 giugno si autocelebreranno alla 16° edizione del Vinexpo, la più importante fiera del vino al mondo, in programma a Bordeaux, la capitale dell’enologia francese che ha appena avviato i lavori. Produciamo più vino (49 milioni di hl contro 46) e ne vendiamo di più all’estero (20 milioni di hl contro 13,5) soprattutto sul mercato americano che sta andando benissimo. Ma se guardiamo al fatturato è quasi la metà dei francesi (3,9 milioni di euro contro 6,3). Quindi facciamo pochi margini. E, come insegnano gli economisti, il margine è tutto. Anche nelle aziende che fanno vino.
sabato 11 giugno 2011
CONTROLLI ANCHE SUGLI IGT
Il problema della certificazione delle 118 Igt italiane (dall’Allerona dell’Umbria al Weinberg Dolomiti dell’Alto Adige), una quota non indifdferente della produzione vinicola (una decina di milioni di ettolitri, il 27% delle Denominazioni) sta diventando un “magma”, una massa inestricabile di interessi (privati e pubblici) e di questioni (politiche, contabili, burocratiche) da cui diventa ogni giorno più difficile venir
fuori con una soluzione condivisa dal Mipaaf e da tutti gli attori della filiera. “E’ un magma” dice il presidente dell’Unione Italiana Vini, Lucio Mastroberardino, che sul tema della certificazione sta conducendo una battaglia all’insegna della trasparenza e della condivisione delle procedure di controllo ora gestite dagli “enti certificatori” (con il legittimo
proposito di far sentire la voce della produzione e di ridurre, in qualche modo, il peso dei costi in un momento in cui i margini della filiera cominciano a ridursi. “E’ un magma” dice uno dei più alti dirigenti di
ValorItalia, il più grande “ente terzo” di certificazione (75% del mercato, 12 milioni di euro di fatturato) controllato da Federdoc (al 50%) e da Csqa.
Perchè è un magma? Perchè a due anni di distanza dall’entrata in vigore delle
regole comunitarie dell’Ocm Vino (che di fatto equiparano le Igt alle Doc e alle Docg che hanno, invece, contabilità ipertrasparenti), nessuno oggi è in grado di dire con certezza quante bottiglie di Igt si producono. “Eppure sarebbe semplice” spiega il presidente di ValorItalia e di Federdoc,
Ricci Curbastro “basterebbe confrontare il carico, cioè vigneti e produzione, con il numero delle bottiglie”. Probabilmente non è così semplice se sulla questione certificazione delle Igt da una settimana i vertici della burocrazia enologica del Mipaaf e la filiera non riescono a “trovare la quadra” per usare un’espressione entrata nel linguaggio della politica. La quadra, cioè il compromesso possibile su chi debba fare i controlli, con quali procedure, e chi debba pagarli. Nella scorsa riunione scorso sono emerse due posizioni: chiedere al Mipaaf di continuare a fare i controlli fino al 2013 e limitarli agli imbottigliatori (escludendo o riducendo al minino quelli su viticoltori e vinificatori). Ma con quali risorse? Nel frattempo, nel mercato della certificazione il clima si surriscalda: Federdoc ha impugnato in sede Ue il parere dell’Antitrust che considera il sistema dei controlli “ lesivo della concorrenza”.
fuori con una soluzione condivisa dal Mipaaf e da tutti gli attori della filiera. “E’ un magma” dice il presidente dell’Unione Italiana Vini, Lucio Mastroberardino, che sul tema della certificazione sta conducendo una battaglia all’insegna della trasparenza e della condivisione delle procedure di controllo ora gestite dagli “enti certificatori” (con il legittimo
proposito di far sentire la voce della produzione e di ridurre, in qualche modo, il peso dei costi in un momento in cui i margini della filiera cominciano a ridursi. “E’ un magma” dice uno dei più alti dirigenti di
ValorItalia, il più grande “ente terzo” di certificazione (75% del mercato, 12 milioni di euro di fatturato) controllato da Federdoc (al 50%) e da Csqa.
Perchè è un magma? Perchè a due anni di distanza dall’entrata in vigore delle
regole comunitarie dell’Ocm Vino (che di fatto equiparano le Igt alle Doc e alle Docg che hanno, invece, contabilità ipertrasparenti), nessuno oggi è in grado di dire con certezza quante bottiglie di Igt si producono. “Eppure sarebbe semplice” spiega il presidente di ValorItalia e di Federdoc,
Ricci Curbastro “basterebbe confrontare il carico, cioè vigneti e produzione, con il numero delle bottiglie”. Probabilmente non è così semplice se sulla questione certificazione delle Igt da una settimana i vertici della burocrazia enologica del Mipaaf e la filiera non riescono a “trovare la quadra” per usare un’espressione entrata nel linguaggio della politica. La quadra, cioè il compromesso possibile su chi debba fare i controlli, con quali procedure, e chi debba pagarli. Nella scorsa riunione scorso sono emerse due posizioni: chiedere al Mipaaf di continuare a fare i controlli fino al 2013 e limitarli agli imbottigliatori (escludendo o riducendo al minino quelli su viticoltori e vinificatori). Ma con quali risorse? Nel frattempo, nel mercato della certificazione il clima si surriscalda: Federdoc ha impugnato in sede Ue il parere dell’Antitrust che considera il sistema dei controlli “ lesivo della concorrenza”.
giovedì 2 giugno 2011
VINI A MARCHIO COOP
Un “private label” innovativo che mette insieme sette cantine e la più grande catena della Gdo in Italia, la Coop. E’ così che nasce “Assieme”, nuova linea di vini nata dalla collaborazione di Cantine Riunite, Civ&Civ, Cevico, Le Chiantigiane, Folonari, Cantina Tollo e Moncaro, associate a Legacoop Agroalimentare. Le dodici etichette rappresentano cinque regioni: Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Abruzzo e Marche. In dettaglio: Civ e Cantine Riunite propongono due Lambruschi, Reggiano e di Sorbara; Cevico un Rubicone bianco e rosso; Le Chiantigiane Vermentino e Merlot Maremma Toscana;
Folonari Chardonnay e Merlot delle Venezia; Cantina Tollo Terre di Chieti bianco e rosato; e infine Moncaro Trebbiano Passerina e Sangiovese. Il progetto punta a offrire qualità a costi contenuti. Le bottiglie avranno anche un tappo richiudibile proprio a sottolineare la caratteristica di consumo quotidiano. Saranno commercializzate in esclusiva nei 1.450 punti vendita della Coop. La produzione iniziale sarà di 150mila bottiglie e il fatturato atteso intorno ai 450mila euro. L’obiettivo è un milione di bottiglie all’anno. Il prezzo sarà in media di 3 euro. In etichetta, il logo ‘Filiera cooperativa’ lanciato lo scorso anno per l’ortofrutta insieme con l’indicazione di luoghi, vitigni e tecniche di produzione. “Con Assieme –
dice Vincenzo Tassinari, presidente del Consiglio di gestione di Coop – abbiamo pensato a un vino di qualità al giusto prezzo”.
Folonari Chardonnay e Merlot delle Venezia; Cantina Tollo Terre di Chieti bianco e rosato; e infine Moncaro Trebbiano Passerina e Sangiovese. Il progetto punta a offrire qualità a costi contenuti. Le bottiglie avranno anche un tappo richiudibile proprio a sottolineare la caratteristica di consumo quotidiano. Saranno commercializzate in esclusiva nei 1.450 punti vendita della Coop. La produzione iniziale sarà di 150mila bottiglie e il fatturato atteso intorno ai 450mila euro. L’obiettivo è un milione di bottiglie all’anno. Il prezzo sarà in media di 3 euro. In etichetta, il logo ‘Filiera cooperativa’ lanciato lo scorso anno per l’ortofrutta insieme con l’indicazione di luoghi, vitigni e tecniche di produzione. “Con Assieme –
dice Vincenzo Tassinari, presidente del Consiglio di gestione di Coop – abbiamo pensato a un vino di qualità al giusto prezzo”.
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