L’affacciarsi di nuove potenziali malattie per la vite, la minaccia costante di quelle conosciute, come l’oidio o la fillossera, e la necessità di ridurre i trattamenti chimici dettata da esigenze ambientali, da direttive normative e, forse, anche dal marketing, secondo gli scienziati americani, dipende dallo sviluppo di nuove varietà di uva, da studiare grazie alla conoscenza sul Dna della vite. Lo sostiene uno studio Usa della Cornel Univesity, guidato da Sean Myles. Due gli asset su cui si fonda: il primo è che tutte le più diffuse varietà di vite sono della stessa famiglia, quella della Vitis Vinifera, addomesticata 5-6.000 anni fa tra l’Armenia e la Turchia, e, avendo subito incroci tra varietà in maniera “molto limitata”, sono più esposte alle malattie; il secondo è che i ricercatori Usa hanno mappato il genoma di più di 1.000 campioni di vite, utili per studiare varietà resistenti alle malattie. Solo in Australia, si parla di oltre 100 milioni di dollari all’anno. E in Europa, che produce il 70% del vino mondiale, c’è anche una proposta della Commissione Ue per eliminare, nel 2013, l’utilizzo di sostanze “ non essenziali”. Per questo gli scienziati cercano di sviluppare nuove varietà di uva immuni alle infezioni, sia con l’ibridazione con specie resistenti, “lunga e costosa”, che con la manipolazione dei geni. E qui entrerebbero in campo mappe genomiche di oltre 1.000 campioni, che collegano dei “markers” a tratti come l’acidità o la resistenza alle malattie. “Conoscendo questi tratti, è possibile
trapiantare le piantine, guardare il Dna appena si ottiene il tessuto della prima foglia, e tenere quelle con i profili genetici che ci interessano. Risparmiando molto tempo e denaro”, ha detto Myles. E,nonostante resistenze commerciali e culturali in questo senso, il cambio di mentalità, secondo Myles “deve avvenire. Non possiamo continuare ad utilizzare le stesse culture per i prossimi mille anni” .
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