Le decisioni politiche più delicate,si prendono spesso a tavola e magari davanti a
una buona bottiglia di vino. Quale vino scelgono gli europarlamentari dopo le loro estenuanti sedute? 113 sono le etichette con solo due quelle del Nuovo Mondo: uno chardonnay e un cabernet sauvignon cileni prodotti da due aziende della rete del
commercio equo e solidale e tantissima Francia (oltre il 50% dei vini totali). Vediamo in dettaglio partendo dalle bollicine. Due gli Champagne in carta: la Cuvée du Parlament Européen Brut Grand Cru di Pierre Peters, piccola maison che produce una linea ad hoc per il Parlamento. Per quanto riguarda il metodo champenoises, troviamo un Cremant, un Cava, un riesling Brut teutonico e un Prosecco (prodotto da Villa Marianna di Valdobbiadene). Proseguendo ecco una selezione di mezze bottiglie, con un buon Sancerre, un Chianti 2007 della Cantina Leonardo da Vinci, un albarino portoghese e una selezione di piccoli produttori di vari Paesi; non ci sono grandi nomi. La carta è suddivisa in due specifiche selezioni: la prima più a buon mercato, mentre nella seconda - la“Carte de Vins Prestige”- con vere ricercatezze e grandi Chateau. Ritornando alla lista “base”, alla voce vini bianchi non compare l'Italia. Troviamo, al contrario, Grecia, Spagna, Lussemburgo, Slovenia, Bulgaria, Romania, Austria, Belgio, Portogallo, Repubblica Ceca, Ungheria, Francia, Germania. Con etichette con nomi non proprio allettanti come il Byzantium Transylvanie 2005 della Romania o il Kleoni greco senza nessuna indicazione né di annata né del produttore: un vuoto informativo grave e non unico, se si pensa che la battaglia per la trasparenza della filiera produttiva dovrebbe partire proprio da qui. Tra i rossi solo un Dolcetto dell'azienda Bersano e il Chianti Leonardo Da Vini. Passiamo ora alla carta più prestigiosa. La Carte de vins prestige riflette la tradizione della Vecchia Europa: oltre il 90% dei vini parlano francese. Ci sono ottimi chablis come il Premier Cru Les Vaillons del Domaine Billaud Salmon o il Pessac-Léognan Cru classé dello Chateau Carbonnieux. In carta ci sono tante valide etichette di Bordeux, Borgogna e una bella selezione di rossi del Rodano; il Domaine de Remizières, tanto per citare un nome. Tra tanti francesi, spiccano solo tre italiani. La Vernaccia di San Gimignano, prodotta dalla piccola azienda biologica Montenidoli, il Langhe Nebbiolo dei Poderi Oddero e il Chianti classico di Badia a Coltibuono, prodotto dagli eredi Stucchi Prinetti.
Maurizio Peroni
LA VOCE DELLA TIPICITA' DEI VINI DELLA TRADIZIONE PICENA E FAMILIARE !
THE VOICE AND THE UNIQUE CHARACTER OF THE FAMILY AND PICENO TRADITION !
THE VOICE AND THE UNIQUE CHARACTER OF THE FAMILY AND PICENO TRADITION !
sabato 30 luglio 2011
mercoledì 27 luglio 2011
LE ECO-IDEE NASCONO ANCHE IN VIGNA
Nascono anche dalla vigna le eco-idee del futuro. Innovazione e ambiente, è questo il cammino da seguire per garantire alla Terra un futuro radioso, che anche il mondo del vino ha iniziato a percorrere. Ed è anche il tema del concorso europeo “Eco-innovation”, che fra i 6 vincitori italiani vede protagonista un’idea nata tra i filari del Verdicchio. Si chiama “Zewipro”, acronimo di Zero Emissions Wine Production, un sistema “per abbattere la Co2 generata durante la fermentazione alcolica del vino, che poi verrà impiegata per la produzione di microalghe, da immettere a loro volta nel mercato farmaceutico, cosmetico, dei mangimi e degli integratori alimentari”. E se la tecnologia - già pronta per il mercato, ma per ora ancora in laboratorio - sarà italiana ed olandese, le cantine coinvolte sono una italiana (Fazi Battaglia), una
francese (Château Mont Redon, in Provenza) ed una spagnola (Bodegas Solar Viejo de Laguardia, nei Paesi Baschi), per una sperimentazione che partirà per la prossima vendemmia su decine di migliaia di quintali di mosto, durerà 30 mesi e sarà finanziata per metà (700.000 euro) dall’Unione Europea.
francese (Château Mont Redon, in Provenza) ed una spagnola (Bodegas Solar Viejo de Laguardia, nei Paesi Baschi), per una sperimentazione che partirà per la prossima vendemmia su decine di migliaia di quintali di mosto, durerà 30 mesi e sarà finanziata per metà (700.000 euro) dall’Unione Europea.
martedì 26 luglio 2011
MISTER PECORINO E MISS PASSERINA
Dopo il calendario delle produttrici di vino austriache, parte oggi il primo concorso di bellezza voluto dal Consorzio di vini Picenos: Mister Pecorino e Miss Passerina. Ispirato ai nomi dei vitigni più noti della Regione Marche ( Verdicchio a parte ), farà sbellicare a suon di battute e risate i più maliziosi. In realtà l’idea è “leggera”, ma l’obiettivo è lecito: i vincitori (la ragazza più frizzante e dal gusto più esuberante e il ragazzo dal sapore più robusto e di maggiore corpo) diventeranno i testimonial di Picenos, accompagnandolo in giro per il mondo. Il vino,ognuno la pensi come vuole, forse è anche questo ...
lunedì 18 luglio 2011
LA NUOVA FACCIA DEL VIGNETO ITALIA
Forte calo del numero di aziende viticole tra il 2010 e il 2000. A guardare i dati, ancora provvisori, del Censimento Istat (www.censimentoagricoltura.istat.it) si nota una perdita del 51,5% del numero di aziende, passate da 791.091 unità del 2000
a 383.645 del 2010, con una riduzione delle superfici a vigneto dai 717.333 ettari di dieci anni fa ai 632.140 ettari (-11,8%) di oggi. Percentuali negative, certamente (basti pensare al -70,4% di imprese nel Lazio o al -60,9% in Calabria), ma che vanno
lette “secondo la logica della selezione”.Il calo delle superfici è stato determinato soprattutto dalle estirpazioni ma, attenzione, a sparire sono state le aziende marginali, quelle condotte da viticoltori part-time, che non rappresentano certo il core business della viticoltura italiana. Si consolida, insomma, la tendenza che vede
una progressiva affermazione di aziende molto professionali, che producono vini a seconda delle esigenze del mercato”. La crescita , seppur modesta (da 0,9 a 1,6 ha) della superficie media aziendale è un buon segnale. Ma c'è di più: si sta affermando “una classe imprenditoriale giovane e moderna”. E' chiaro che occorrerà vedere cosa accadrà nei prossimi anni.
venerdì 15 luglio 2011
LA GUERRA DEI TAPPI
Quale sarà il tappo del futuro? In sughero o sintetico, in polietilene? O, alla fine, avra' la meglio il tappo a vite? Mentre alcuni grandi del vino, tra cui
Antinori e Donnafugata credono nel sughero al punto da entrare nella coltivazione delle sugherete in Sardegna un’altra parte dei produttori scommette sul tappo alternativo. Per capire come stanno le cose, cerchiamo di scoprire i segreti di un’azienda leader del tappo sintetico, la Nomacorc (2miliardi di chiusure per 100milioni di dollari). Il gruppo, ha tre stabilimenti (North Carolina, Belgio e Cina), 500 i dipendenti (tra cui 8 enologi) e 41 i Paesi interessati; in Italia distribuisce 200 milioni di tappi.
“Il nostro maggiore interlocutore è la Gdo per i suoi vini private label – spiega Richard Teply, ad del gruppo in Europa – ma non mancano grandi produttori internazionali come l’americano Gallo e il cileno Concha y Toro. Per gli italiani possiamo citare Settesoli, Pellegrino, Frescobaldi e Cusumano”. Vediamo ora che cosa succede nello stabilimento (5 milioni di tappi al giorno) alla periferia di Liegi.
Si parte dal polietilene lavorato con il metodo di co-estrusione (brevetto Nomacorc): ci sono due effusori grazie ai quali il materiale si unisce per creare il cuore e la pelle del tappo. Dopo l’incisione del marchio e lo smussamento degli angoli, si passa alla siliconatura. Ultima fase è la quarantena per testare le caratteristiche del tappo. A questo punto la domanda sorge spontanea: meglio il polietilene o il sughero? Risponde Filippo Peroni, direttore vendite Italia, Turchia e Grecia: “Il sughero non può garantire la ripetibilità del prodotto mentre oggi il mercato ha bisogno di certezze. Senza dimenticare che il 3% del vino imbottigliato col sughero
va perso come conseguenza del processo di ossigenazione. I nostri tappi, invece, sono in grado di prevedere il passaggio di ossigeno e quindi non risentono del TCA ( il temibile effetto “sa di tappo”, n.d.r.)”. Diverse sono le tipologie di tappo Nomacorc, ognuno con differenti tassi di trasferimento di ossigeno (OTR) che vanno da 0,044 cc a 0,002 cc dell’ultimo nato, il tappo 300 Select. “Il nostro obiettivo -
spiega Peroni - è dare agli enologi tappi affidabili. A questo serve anche NomaSense, uno strumento ideato per misurare l’ossigeno nel post-imbottigliamento sfruttando un sistema a fibre ottiche e due piccoli sensori posizionati dentro la bottiglia
campione” . Tutto prevedibile, quindi, tranne una cosa: quanto tempo passerà prima che il disciplinare di Doc e Docg in Italia permetta l’utilizzo del tappo sintetico?
“Non troppo”, dice Peroni. Che è anche sicuro che prima o poi Nomacorc batterà le multinazionali del sughero, magari anche la portoghese Amorim.
domenica 3 luglio 2011
LA PRIMA DOC EUROPEA : IL VITOVSKA
Potrebbe diventare la prima Doc transfrontaliera europea. E' la vitovska, antico vino autoctono triestino. L'annuncio è stato dato da Sandi
Skerk, presidente del Comitato tecnico Doc Carso. E' difficile trovare oggi
un territorio viticolo così magmatico, plastico, per certi versi così tradizionale (le case, la cucina, la lingua, la struttura patriarcale delle famiglie) eppure così veloce nell'apprendere e condividere esperienze
enologiche.
Sandi Skerk è uno dei circa 30 produttori che coltivano poco più di 150 ettari nelle province di Trieste e Gorizia. Dall'altra parte del confine, in Slovenia, sono altrettante le cantine di vitovska. Il territorio, prima della seconda guerra mondiale, era all'epoca tutta provincia di Trieste. La produzione (un calcolo approssimativo indica un quantitativo di
200mila bottiglie l'anno) viene consumata sul mercato locale, con piccole quote di export in Austria, Germania, Gran Bretagna e Usa. Non una bottiglia, negli ultimi anni, è rimasta invenduta. A conquistare il palato dei troppo pochi che ancora la conoscono sono la sua leggera acidità, la sapidità e i
sentori di frutta. Il colore è giallo paglierino chiaro. La scelta di chiedere il riconoscimento della Doc è condivisa dalle autorità regionali del Friuli e dal governo sloveno. L'iter - che non sarà breve - è stato già avviato. “Può essere un esempio per altri territori con le stesse problematiche, di un vitigno che va tutelato e non è di un solo Paese”, conclude fiducioso Skerk.
Skerk, presidente del Comitato tecnico Doc Carso. E' difficile trovare oggi
un territorio viticolo così magmatico, plastico, per certi versi così tradizionale (le case, la cucina, la lingua, la struttura patriarcale delle famiglie) eppure così veloce nell'apprendere e condividere esperienze
enologiche.
Sandi Skerk è uno dei circa 30 produttori che coltivano poco più di 150 ettari nelle province di Trieste e Gorizia. Dall'altra parte del confine, in Slovenia, sono altrettante le cantine di vitovska. Il territorio, prima della seconda guerra mondiale, era all'epoca tutta provincia di Trieste. La produzione (un calcolo approssimativo indica un quantitativo di
200mila bottiglie l'anno) viene consumata sul mercato locale, con piccole quote di export in Austria, Germania, Gran Bretagna e Usa. Non una bottiglia, negli ultimi anni, è rimasta invenduta. A conquistare il palato dei troppo pochi che ancora la conoscono sono la sua leggera acidità, la sapidità e i
sentori di frutta. Il colore è giallo paglierino chiaro. La scelta di chiedere il riconoscimento della Doc è condivisa dalle autorità regionali del Friuli e dal governo sloveno. L'iter - che non sarà breve - è stato già avviato. “Può essere un esempio per altri territori con le stesse problematiche, di un vitigno che va tutelato e non è di un solo Paese”, conclude fiducioso Skerk.
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