Dopo anni di elogi e trionfalismi, il “mito” di Oscar Farinetti non incontra più soltanto consensi, ma sempre più spesso è messo in discussione ed è oggetto di critiche più o meno velate. Nelle ultime settimane, prima l’amico Carlin Petrini, che in un’intervista al quotidiano “La Stampa” aveva detto: “di Politica ne fa molta con il suo mestiere, non gli basta? E poi è sovraesposto”. Poi sono venute, la polemica con Celentano sull’ex Teatro Smeraldo di Milano, dove da poco ha aperto Eataly, la satira di Maurizio Crozza, con battute come “mentre mangi lento, Farinetti fa il grano veloce”, fino al “Tapiro d’Oro” di “Striscia la Notizia”, perché le borse di Eataly sono “made in Cina” e alcune maglie “made in Bangladesh”. Senza contare poi le querelle più serie con i sindacati, prima per l’apertura dell’Eataly di Bari, dove veniva contestata la mole dei contratti a tempo determinato dei neo assunti, e poi per quella di Milano, dove si è messo in risalto il fatto che parte dei lavori edili siano stati appaltati a ditte romene, con costi e stipendi molto più bassi di quelli italiani. E ha fatto anche scalpore l’ingresso nel capitale di Eataly del fondo di investimento Tamburi, al 20%,
per il quale ha sborsato ben 120 milioni di euro. Tutto legale, va detto. E tutte “accuse” e polemiche alle quali Farinetti non si è mai sottratto e alle quali ha sempre risposto argomentando, ma non trovando più, nei fatti, il consenso quasi plebiscitario che ne ha segnato l’ascesa. E intanto, da New York, dove c’è l’Eataly forse di maggior successo, arriva la brutta notizia: la New York State Liquor Authority ha sospeso, per 6 mesi, la licenza di vendita di vino e alcolici all’Enoteca di Eataly New York, e la proprietà, che vede uniti Lidia e Joe Bastianich, lo chef Mario Batali e la famiglia Farinetti, dovranno anche pagare una multa di 500.000 dollari e rimuovere il nome di Lidia dalla licenza. Il tutto perché la legge dello Stato di New York vieta ai produttori di vino il possesso di licenze e negozi per la vendita di alcolici. Come dire: bussiness e tipicità non è un connubio che trova una facile convivenza !